Dopo che il New Italian Epic è invecchiato prima del tempo, qual è l’epopea di oggi, la narrazione più rappresentativa della Terza Repubblica?
Nell’aprile
del 2008 un memorandum on line del collettivo Wu Ming suscitò un vespaio di
polemiche ed ebbe un tale successo che apparve in stampa nel 2009 con i tipi
dell’Einaudi. Questo “tentativo di sintesi teorica”, come gli autori lo
chiamarono, delineava un’area comune di testi nati dopo Romanzo Criminale
(2002) e Gomorra (2006).
I due
libri in questione sul piano stilistico possedevano un respiro epico e un tono
partecipe, sovvertivano la lingua ed esploravano punti di vista inattesi. Si
disse che avevano inaugurato un filone letterario, che era iscritto in un preciso
periodo storico, il crollo del Muro e la fine della Prima Repubblica. Una epopea
nazional-popolare che fu ribattezzata New Italian Epic.
Oggi
il “movimento” narrativo annunciato con trombe e fanfare è morto. Si è provato
a dire, un paio d’anni orsono, che stava rifiatando ed era in debito
d’ossigeno. Ma, da allora, la pausa creativa appare così lunga che qualsiasi
dottore ne avvalorerebbe il decesso. Per quale motivo non facciamo in tempo a
celebrare la nascita di una corrente che già dobbiamo registrarne il funerale?
In
primo luogo la dimensione del fenomeno è parsa da subito alterata.
Nell’eccitazione della prima ora, l’etichetta New Italian Epic ingigantiva la
realtà dei fatti e iscriveva i testi più variegati sotto la stessa bandiera.
Faccio un esempio. Si era esaltata la popular cultur come una architrave
della nuova tendenza. Ma uno dei padrini del New Italian Epic, generosamente
citato nell’opuscolo, è un intellettuale che scrive pezzi come “La mia vera
natura, selvatica, iridescente. Io sono l'arcaico cacciatore che all'alba uscì
a sventrare velocissime gazzelle, tenendo lontani dalle sue piste i pardi.“, uno
scrittore che rinchiuso nella sua torre d’avorio sembra lontano anni luce dall’attitudine
di essere comprensibile e popolare. E che dire poi delle confusa accezione di
epica? E della missione tracciata ambiziosamente per “i cantastorie della
nostra epoca”? No, non c’eravamo proprio.
In
secondo luogo le argomentazioni sono invecchiate, in un mondo che progrediva
con velocità inaspettata e bruciava ogni definizione, sbertucciando chi metteva
paletti e incasellava il fluire artistico in paradigmi invariabili. Oggi siamo
entrati di peso nella Terza Repubblica, quella di Mario Monti e dello spread,
della Primavera Araba e di Lost. In Italia sul piano politico si registra
l’agonia di un partito monopolista dei media ed erede della vecchia DC, un
partito che annoverava ex socialisti ed ex missini.
Che
cosa è cambiato rispetto all’atto di fondazione del New Italian Epic? Tutto. Il
corso storico e politico. Praticamente l’intero paese, la sua pelle, i suoi
umori, e con esso percezioni e sentimenti dei suoi abitanti.
Come
ha scritto James Ellroy «se hai abbastanza palle per dire “posso riscrivere la
storia come mi pare e piace”, forse allora puoi farla franca». Di Cataldo e
Saviano hanno mostrato di avere i coglioni. Camuffando la narrazione ricavata
da atti processuali in una saga gangsteristica il primo, e in un reportage
scritto da una sorta di ‘io ferito’ il secondo, hanno ripercorso i fatti della
grande storia facendo ad essa il contropelo. La ricognizione antropologica di
un’Italia delinquenziale ha avuto come obiettivo far giudicare al lettore il
passato e dotarlo di una bussola con cui orientarsi nel presente. Il nostro era
l’unico paese occidentale che, prima della caduta del Muro, si collocava tra
Est e Ovest, tra comunismo e capitalismo. Un paese che negli anni Settanta aveva
dato il suo tributo di sangue in stragi occulte e aveva appaltato alle grandi
organizzazioni criminali una parte dell’attività sovversiva e fette
dell’economia sommersa. Ma oggi che scrivere? Come rapportarsi al presente? Il contesto è radicalmente mutato in
confronto ai tempi in cui sono usciti Romanzo criminale e Gomorra.
Oggi fare della contro-storia appare quasi ridicolo. Contro-storia a che cosa?
Avversando chi? Lanciando gli strali a quali poteri?
Se Romanzo
Criminale metteva in discussione una centrale affaristica legata a
massoneria e servizi deviati, oggi la critica risulta meno incisiva, visto che
nel Palazzo si muovono noiosi professori della Bocconi e i sodali di Gelli
stanno in panchina. Il regno di Berlusconi è terminato e con esso le ombre di
connivenze con la mafia e la P2. I riflettori sono spenti e le scenografie del
passato sono smontate dal palcoscenico. Lo stragismo del ’92-’93 l’hanno quasi tutti
dimenticato, in una gigantesca opera di rimozione o insabbiamento. I picciotti
siciliani sono passati di moda. Gli anni Settanta diventano meno pop,
più pastosi, violenti e materici, lontani anni luce dall’eterea impalpabilità
della tecnocrazia. E a Napoli? Nella città partenopea si respira un clima
diverso, il sindaco De Magistris recita come un mantra che va tutto bene, la faida
degli scissionisti è arginata e i pezzi da novanta dei Casalesi sono tutti
dietro le sbarre, pronti a prestare le loro facce e le loro storie a qualche
agiografica serie televisiva in onda su Sky e Mediaset.
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