C’è uno spazio sul web dove trovare una analisi pertinente di un film appena
uscito in sala? Il cinema è ancora una passione, il nostro primo amore? Oggi la critica cinematografica ha qualcosa da dirci?
Direi di sì, a giudicare dall’intervista ad uno degli instancabili animatori del blog collettivo “I cinemaniaci”, che dal 2006 recensisce lungometraggi e dedica approfondimenti su cinema di genere e d'autore.
Direi di sì, a giudicare dall’intervista ad uno degli instancabili animatori del blog collettivo “I cinemaniaci”, che dal 2006 recensisce lungometraggi e dedica approfondimenti su cinema di genere e d'autore.
“I cinemaniaci” (www.icinemaniaci.blogspot.it ) è un
blog che visito spesso, sia prima di andare a vedere un film in sala, per capire
se è la scelta giusta, sia per i ricchi reportage che la redazione fornisce sulla fabbrica
delle immagini. E’ un blog che trasuda competenza e passione.
Per questo sono lieto di
proporre in esclusiva l’intervista a Fabrizio Luperto, una delle penne
più acuminate del blog, amante del poliziottesco e autore del libro
"Cinema calibro 9" (Manni Editore), per fare il punto su che cosa
significa oggi essere un critico cinematografico ed esercitare questo difficile mestiere su
internet.
Partiamo dal blog de “I
cinemaniaci”. Com’è nata l’idea del blog? Controllate il numero giornaliero dei
visitatori? Il vostro blog ha portato fortuna e/o visibilità ai suoi estensori?
Che bilancio trarresti dalla tua lunga attività di blogger?
L’idea del blog nasce dalla voglia di un gruppo di
amici, amanti del cinema, di mettersi alla prova. Sin da subito però ci siamo
dati una struttura simile ad una vera redazione, con compiti ben precisi. Il
nostro piccolo successo è merito del nostro entusiasmo e, permettimi, anche
della nostra professionalità. Da subito abbiamo cercato di “coprire”
alcuni festival come il TFF di Torino che ormai è per noi un
appuntamento fisso, da qualche anno siamo presenti anche a quello di Roma e in
alcune occasioni siamo riusciti anche a coprire il Noir Festival di Courmayeur
e il GLBT di Torino. Anche d’estate, quando le uscite in sala sono rarissime,
non abbandoniamo i nostri lettori, potenziando le rubriche riguardanti il
cinema di genere anni ’70, o quella denominata “film telecomandati” che si
occupa di recensire e fornire curiosità sui film trasmessi in tv.
Inoltre abbiamo una sezione dedicata al voto assegnato
ai film, dove ogni redattore esprime il proprio voto e quindi il lettore
può confrontare le diverse valutazioni/idee dei redattori.
Scorrendo la pagina si può anche facilmente
notare che copriamo gran parte delle uscite in sala, con una percentuale
elevatissima, difficilmente raggiungibile per un blog.
Personalmente ogni tanto controllo il numero dei
visitatori, ma c’è chi è delegato a farlo.
Comunque, dai dati in nostro possesso emerge che I
Cinemaniaci ha più seguito tra gli addetti ai lavori che tra i normali utenti
di blog che trattano la materia cinematografica.
Si, alla lunga la qualità dei nostri scritti ha
pagato, alcuni di noi hanno acquisito una piccola notorietà che si è tradotta
in interviste e articoli su quotidiani nazionali, ospitate in programmi
radiofonici, richieste di collaborazioni varie, tutte cose che fanno molto
piacere ma alle quali non pensavamo minimamente quando, ormai sette anni fa,
abbiamo cominciato.
Un bilancio positivo ovviamente. Mi sono divertito e
mi diverto ancora, se poi vengono anche dei riconoscimenti vuol dire che
impegno e passione sono stati premiati.
Ti capita mai di
litigare con un tuo collega per una valutazione diversa dello stesso film, come
tifosi di squadre avversarie?
Litigare no, discutere animatamente si. Ricordo che
all’uscita di Mine Vaganti nel 2010, ognuno di noi aveva una visione diversa
del film.
Il web, in cui il
sapere circola senza barriere e inibizioni, ha portato trasformazioni nel rapporto tra spettatori e cinema? La
rivoluzione digitale ha cambiato il panorama della critica?
La più grande trasformazione che ha portato il web
consiste nel fatto che purtroppo oggi i film si scaricano. Ha comunque senza
dubbio aumentato l’offerta di critica cinematografica e credo abbia soddisfatto
le esigenze di chi vuole ancora leggere critica in un certo modo, visto che i
grandi quotidiani ormai si limitano ad assegnare pallini e stellette e niente
altro.
I festival sono pieni di critici della carta stampata,
ma poi, escluso rare occasioni, sui quotidiani non si legge quasi
nulla, si parla quasi esclusivamente del vestito o dell’acconciatura della
star di turno. Ed ecco, infatti, che anche critici affermati aprono il
loro blog.
E poi ci sono altri aspetti, ci sono blog
specializzatti che trattano esclusivamente un certo cinema, quelli dal tono
satirico ecc..Importante per l'utente è capire dove c'è qualità, visto che
l'entusiasmo da solo non basta, ogni anno nascono e muoiono centinaia di blog
sul cinema.
Quali sono gli
strumenti che il critico ha a disposizione per analizzare un film? Ci sono
griglie o modelli per svolgere bene il suo compito?
Ognuno ha i propri parametri, le proprie griglie e i
propri modelli. Personalmente, nel giudicare un film, prima di passare ad un
esame di testa, lo valuto con la “pancia”.
"svolgere bene il suo compito" per me
significa essere onesti con se stessi.
Spesso viene
rimproverato ai nostri critici un atteggiamento quasi compassionevole, di
indiretto incoraggiamento, verso film italiani che sono invisibili nei
festival, ignorati a livello internazionale, disertati dal pubblico di casa e
incapaci di ripianare il budget della produzione. Ho notato che nel blog
icinemaniaci non mancano plausi a Io
viaggio da sola, Amiche da morire
o Miele e addirittura si parla del
cervellotico La grande bellezza come
di un capolavoro sfiorato (che però è rimasto a bocca asciutta a Cannes). Non
c’è una certa indulgenza della critica ufficiale verso le pellicole italiane?
Non trovi, al contrario, che a voler essere rigorosi, esista un eccesso di
intellettualismo nel cinema d’autore che lo rende freddo, virtuosistico e
sempre più spesso impopolare tra le masse?
Rimanere a bocca asciutta a Cannes non credo sia da
valutare in senso negativo. Già il fatto di essere ammessi nella selezione
ufficiale è sinonimo di qualità, anche se so benissimo che il nome di
Sorrentino e i soldi francesi della produzione probabilmente hanno influito
nella scelta. Comunque la recensione apparsa sul blog non era mia, che ho un'
idea leggermente differente del film, ma di un collega romano (Nickoftime),
vista la materia trattata ci è sembrato logico affidare a lui la recensione.
Per quanto riguarda l'indulgenza di cui parli, forse
può essere presente nei programmi televisivi o nella pubblicità mascherata da
critica cinematografica. La tecnica è sempre la stessa; si crea l’attesa, si
organizzano interviste dove l’intervistatore si genuflette dinanzi al regista o
produttore di turno e poi quando il film si rivela mal riuscito o più
semplicemente brutto si smette di parlarne dimenticandosi di quanto scritto o
detto in precedenza.
Non credo sia il nostro caso; posso affermare che nel
nostro blog vi è onestà intellettuale, sicuramente comune ad
altri, ma purtroppo sconosciuta a molti. Che poi è il motivo per
cui il cinefilo legge molto più volentieri blog e siti liberi e
indipendenti piuttosto che quotidiani o riviste la cui proprietà spesso è
legata da vincoli economici a produttori, distributori, attori, registi.
Detto questo, anche noi possiamo sbagliare e
i nostri lettori hanno la possibilità di farcelo notare con i loro interventi.
Poi dipende anche dal tipo di film, se ci si trova
dinanzi ad un piccolo film dal budget ridotto, che però ha una bella idea ed
una buona sceneggiatura e che per questioni economiche non è interpretato
da attori di grande esperienza oppure la fotografia lascia a desiderare trovo
quasi normale essere indulgenti.
Differente è il discorso riguardante grandi produzioni
che lasciano parecchio a desiderare.
Masse? Esistono ancora? E se esistono, vanno a
guardare un film o semplicemente vanno al cinema, cose molto differenti fra
loro. Credo che il termine “massa”, in molti casi possa essere sostituito con
pubblico televisivo, che determina il successo commerciale di un film
riempiendo i multisala in occasione dell’uscita di film aventi come
protagonisti volti noti della tv.
Del resto basta guardare il risultato del box office
per vedere quali sono i film italiani che incassano di più, cioè quelli con un
cast televisivo.
Segui testate
specializzate del settore? On line o cartacee? Da lettore, preferisci una
critica divulgativa, di orientamento al consumo, oppure una critica più
impegnativa, che mescoli diversi saperi ed abbia una maggiore impronta
analitica?
Ci sono alcuni
critici che leggo volentieri, indifferentemente se scrivono on line o su
riviste cartacee; dovendo fare un nome, leggo volentieri Valerio
Caprara.
Preferisco una critica che mescoli diversi saperi e
che sia facilmente comprensibile.
Qual è il
film che consiglieresti di vedere nell’ultima stagione cinematografica, una
perla rara che a tuo giudizio è passata inosservata al grande pubblico? E quale
il film peggiore che ti è capitato di vedere, quello da cui saresti voluto
scappare?
Molti film passano inosservati al grande pubblico
perché, come ho detto prima, il grande pubblico non esiste. Semplificando
possiamo dire che esiste il pubblico televisivo che si sposta al cinema e
gonfia l’incasso di un determinato film, poi esistono gli incassi stratosferici
dei cartoni, drogati dall’equazione bambino + genitori + biglietto maggiorato
per il 3D che fanno gridare al capolavoro.
Un film che balla tra uno e due milioni di
incasso non significa che non è arrivato al grande pubblico, significa che è un
film che interessa lo spettatore abituale di cinema e che non è arrivato a quella
porzione di pubblico pigro, che probabilmente non lo guarderebbe neanche
se gli venisse proiettato nel soggiorno di casa.
La dimostrazione pratica di quello che affermo è data
dal fatto che, in questo periodo di crisi, a subire maggiormente
l'emorragia di spettatori sono i multisala che programmano film
leggeri, blockbuster ecc... e che hanno un pubblico per il quale non fa
differenza vedere un film in sala o guardare il dvd "pirata"
comodamente seduto sul divano di casa. Le sale che puntano sulla qualità
non perdono spettatori, perché chi ama il cinema continua a frequentere
le sale.
Basta prendere come esempio Amour di
Haneke che, nonostante la vittoria a Cannes e l’Oscar, si è fermato a 1 milione
e 500 mila euro di incasso.
Ma non è quest'ultimo a determinare la grandezza
di un film o di un regista, come ha recentemente scritto Mereghetti, nella
classifica degli incassi di tutti i tempi, 2001: Odissea nello spazio si
trova al 1416° posto eppure tutti conoscono Kubrick.
E poi c’è da tener presente il numero di copie che
vengono distribuite, un discorso è uscire con 600 copie, un altro con 30.
Poi ci sono film che in Italia non vengono distribuiti
o peggio ancora vengono acquistati e non distribuiti; potrei fare un
elenco lunghissimo, ma mi limito ad un esempio clamoroso che riguarda il
regista Sion Sono, le sue retrospettive in Italia e in Europa
riempiono le sale, ma da noi il suo cinema è praticamente sconosciuto.
Di solito sono restio nel dare consigli, però Come
pietra paziente di Rahimi è rimasto sotto i 200 mila euro di incasso
e quindi è stato visto da pochissimi. A mio avviso merita la visione.
Le delusioni degli ultimi periodi invece sono
state e Magnifica Presenza, Le Belve e Contagion,
giusto per citare i primi film che mi vengono in mente.
Gianni Canova ha
scritto: “è venuto il momento di parlare male della cinefilia”. Sei d’accordo
con l’opinione dell’illustre critico secondo cui la malattia di molti cinefili
è la rinuncia a pensare un altro cinema,
la rassegnazione alla scomparsa di ogni possibile altrove, ogni pensabile
alterità?
La cosa mi tocca marginalmente, visto che da sempre mi
occupo di cinema cosiddetto minore e quindi abituato a guardare ad "altro
cinema" e certamente non sono tra quelli che nel film devono trovare
ad ogni costo il messaggio o la pedagogia o il virtuosismo tecnico.
E’ vero però che sarebbe opportuno smetterla di
filosofeggiare su tutto.
Occupandomi di cinema di genere, qualche anno fa
durante una presentazione del mio libro, ebbi a dire che la rovina del
cinema di genere anni '60-'70 erano quei critici o quegli appassionati che
incensavano anche film scadenti o erigevano al rango di “maestro” registi che
in realtà erano onesti artigiani che conoscevano il proprio mestiere. Apriti
cielo. Mi difesi citando uno dei grandi del cinema di genere italiano, Mario
Bava che nel 1979 rilasciò un'intervista dove sbeffeggiava i critici
dei "Cahiers du cinèma" che nel film Sei donne per
l'assassino vedevano cose come connessioni, passaggi, richiami,
ecc.. che lui non si era mai neanche sognato di inserire mentre girava il
film.
A tuo parere oggi la
critica cinematografica riesce ad orientare il pubblico nella scelta dei film
da vedere? Ha un suo potere di influenza? Svolge un ruolo nel consolidamento di
determinate poetiche o nell’affermazione di scuole cinematografiche?
Domanda difficile. Spero di riuscire ad essere chiaro.
La pubblicità mascherata da critica cinematografica riesce ad orientare il
pubblico, perché invade i teleschermi nei giorni che precedono l’uscita in sala
del film, ma si tratta di pubblico occasionale, distratto.
Quella seria e fatta in maniera disinteressata,
influisce meno sul pubblico, perché raggiunge meno lettori/spettatori visti i
canali tramite i quali è fruibile, e quindi "arriva tardi", non
per colpa sua, ma semplicemente perché ormai i film restano in sala pochissimo,
ma contribuisce ad allungare la vita del film che magari viene ripescato in dvd
o visto durante il passaggio televisivo.
Poi c'è la cosa più triste. In Italia, ancora oggi,
molti critici leggono il film in base alle loro idee politiche e allora ecco
che film davvero brutti o addirittura involontariamente comici come Il
mercante di pietre di Martinelli viene osannato dai critici di destra,
che contemporaneamente stroncano buoni lavori dal respiro europeo come il Vallanzasca di
Placido, un po' come succedeva a metà degli anni '70 quando i film del filone
poliziottesco, per i critici di sinistra, erano per forza reazionari e
fascisti; come si fa a dare del fascista ad un regista come Umberto
Lenzi, qualcuno ancora non è riuscito a spiegarmelo. Sarebbe ora di
smetterla e cercare di valutare un film per quello che è, attenendosi al testo
cinematografico, senza lasciarsi influenzare dalle proprie idee politiche.
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