mercoledì 15 ottobre 2014

VALORIZZARE I TALENTI DEL CINEMA: Distribuzione Indipendente.

DISTRIBUZIONE INDIPENDENTE punta a un ritorno alla dimensione sociale della sala e alla scoperta di film coraggiosi, di opere dal potenziale commerciale e di autori politicamente scorretti, in netta controtendenza rispetto all’omologazione culturale dell’ultimo decennio.    
Uno dei tre soci di DISTRIBUZIONE INDIPENDENTE, Giovanni Costantino, ci parla dello stato attuale della cinematografia in Italia. Quest’anno la sua società di distribuzione ha messo in catalogo opere d’autore e di genere che hanno saputo attrarre l’interesse della stampa e di un pubblico attento e vivace, ottenendo risultati decisamente positivi.
Di seguito l’intervista a Giovanni. Costantino smentisce tanti luoghi comuni e indica una strada coraggiosa per fare cinema e non sprecare i tanti talenti che abbiamo. 

Ho incontrato Giovanni Costantino in un locale trendy di Roma, vicino a Campo dei Fiori, davanti a una spremuta di limone, seduto su un morbidissimo pouf.
Mi sono lasciato travolgere dalla personalità magnetica di Giovanni, che oltre alla passione per il proprio lavoro è in grado di comunicarti il suo afflato etico e la “missione” che incarna. Non è un caso che in così poco tempo Costantino si sia costruito una solida reputazione di distributore e abbia all’attivo diversi successi, tra cui SPAGHETTI STORY, e conti oltre venti sale affiliate al progetto e dislocate in quasi tutte le regioni italiane.


Anzitutto una domanda pratica. Quanto costa distribuire un film in una sala cinematografica tradizionale? Ci sono costi che si possono abbattere?
Distribuire un film per un circuito medio di sala costa circa dalle 50 alle 100mila euro. Teniamo conto che in questa cifra è compresa la campagna marketing e la stampa delle locandine. (Il solo lancio stampa e la strategia di media marketing valgono da sole almeno 15 ml euro)
DISTRIBUZIONE INDIPENDENTE, grazie al suo straordinario staff tecnico di Magestic Film, ha trovato il modo per abbattere le spese con una compressione la cui qualità si avvicina a quella del Blu-Ray. Il nostro sistema distributivo è basato su file digitali resi disponibili ai gestori delle sale a kilometro 0, tramite una semplice interfaccia web.


Com’è nata l’idea di fare il distributore?
Sono diventato distributore casualmente. Non volevo fare questo lavoro, ma nel ruolo di produttore ho sperimentato sulla mia pelle cosa significa non trovare adeguati canali di distribuzione, non avere visibilità e restare ignoti al grande pubblico. Quando ho prodotto Falene, mi sono scontrato con questo tipo di difficoltà. E allora mi sono detto che bisognava cercare una strada che potesse dare un’opportunità a tutti i film maker che riescono a fare qualcosa di buono ma che non sono conosciuti perché i loro film non arriveranno mai nelle sale. Fin da subito, visti gli autori di grandissimo livello trovati in stato di abbandono e reclutati per il nostro primo catalogo, abbiamo avvertito la distribuzione quasi come una missione. Il nostro obiettivo è togliere dall’invisibilità le opere meritorie e dimostrare che esistono talenti inespressi, spesso condannati a restare sconosciuti.
Esiste poi una difficoltà ancora più grande, che è alla base del lavoro di produzione, quella di non riuscire a reperire le risorse economiche per realizzare un film. Ho lottato anche contro questo genere di ostacolo, nella veste di produttore, quando ho presentato al Mibact una sceneggiatura e un piano di lavorazione per un film ambizioso e di denuncia, che però è stato bocciato dalla Commissione.         

A questo punto sono curioso. Di che parlava questo copione? 
Il film, che purtroppo non è mai stato realizzato, parlava di tre fratelli che, accusati di aver ucciso il padre, sono finiti al centro dell’attenzione mediatica e approdati in televisione. Questo l’antefatto. La storia comincia quando questi ragazzi, trascurati dai media e in crisi di popolarità, capiscono che l’unico modo per tornare alla ribalta è riaprire il caso dell’uccisione del padre attraverso prove false. Il tema, che allora come oggi è di attualità, è l’esteriorità e l’egoismo di una società mediatica che non ha nessuna umanità. Purtroppo la commissione del Mibact bocciò in modo molto singolare il progetto (“questa tematica è stata già talmente tanto utilizzata nel cinema da potersi ritenere usurata”) e, nonostante la presenza di grandi professionisti che avevo coinvolto e che erano rimasti entusiasti della storia, si arenò dopo il no del Ministero.
    
  
Dopo tanta fatica per racimolare i finanziamenti per la realizzazione, molti film sono destinati a restare “invisibili”. Cosa devono fare questi film per essere distribuiti da DISTRIBUZIONE INDIPENDENTE? Quali sono i criteri con cui selezionate il vostro catalogo?
   
DISTRIBUZIONE INDIPENDENTE non ha nessuna preclusione. Spesso il genere comico è quello che permette maggiori incassi ed ha un appeal commerciale, ma abbiamo nel nostro listino horror, fantasy, film d’autore e tutte le opere indipendenti che ci hanno colpito da spettatori. Sono scelte emotive, di pancia, che ci guidano che hanno ovviamente alla base una cultura letteraria e cinematografica significativa,  così come una riflessione su come possiamo lavorare con l’opera e con il suo autore e come possiamo comunicare il valore del film al pubblico. Ci chiediamo se il film può avere un proprio target, un pubblico di riferimento, e se ha una tematica interessante e di impatto. La risonanza che le testate giornalistiche possono dare all’opera è altrettanto importante. Avere un riconoscimento dalla critica e delle buone recensioni naturalmente spinge i cinefili a cercare il film nelle sale. Un elemento che ha un peso decisivo nella scelta di DISTRIBUZIONE INDIPENDENTE è la risonanza del film nel circuito festivaliero e gli eventuali riconoscimenti che ottiene. Un piazzamento in un festival del cinema può influenzare la nostra decisione e fornisce un maggiore appeal al film.
La nostra società deve valutare bene le sue scelte, perché non può permettersi di sbagliare. Se fallisce un colpo, rischia di morire.
  

Quale è il festival cinematografico più interessante nel panorama audiovisivo?
Berlino e Cannes sono i festival dove si fa il vero business, frequentati da agenti di vendita, produttori e distributori di altissimo livello. Ma per un piccolo distributore, che non ha le disponibilità economiche dei grandi, non sono mercati percorribili. Le major possono acquistare più titoli, fare pressione e influenzare i professionisti del settore. Forse oggi anche questi grandi festival stanno diventando più accessibili. In Italia, oltre a Venezia, Roma e Torino presentano film notevoli e hanno un loro bacino di utenza. Ma per avere un festival dove non ci siano selezioni dubbie bisogna andare all’estero. L’International Film Festival di Rotterdam è una vetrina dove vige la meritocrazia assoluta e trovi forze nuove, fresche, grintose. A Rotterdam si può fare scouting e scoprire voci inedite. C’è  una programmazione di altissima qualità, che prevede anteprime eccellenti, in un clima di grande trasparenza. Così come al Raindance di Londra.   


Sei d’accordo con i produttori americani che dicono che un domani l’uscita di un film nelle sale sarà circoscritto alle prime due settimane e la distribuzione si concentrerà nel video on-demand e negli abbonamenti digitali? Netflix ha superato i 40 milioni di utenti ed è arrivata in Francia. Non ti fa paura la concorrenza delle piattaforme digitali?
Io la penso in modo controcorrente. Il cinema è il cugino del teatro. Deve tornare ad essere un centro di aggregazione importante, un luogo dove si fa cultura e la gente si incontra, come una “agorà” dell’antica Atene.
La sala ha perso progressivamente il suo ruolo sociale e culturale, soprattutto nelle grandi città, ma si può invertire questa tendenza.
 A volte è sbagliato proprio il modo di presentare il film e c’è una forma di pigrizia mentale. Oggi lo spettatore è ridotto a fruitore passivo: paga-vede-esce. Questo ha decretato, dopo 50 anni di distribuzione sempre alla stessa maniera, l’allontanamento del pubblico dalle sale. Il pubblico dovrebbe essere reso più partecipe, poter dire la sua alla fine della proiezione e magari interloquire con il cast tecnico e artistico del film. Questo significherebbe restituire al cinema la sua natura di evento e far tornare lo spettatore un fruitore attivo.
   
A che è dovuto lo stato comatoso dell’industria culturale?  
Nell’ultimo ventennio siamo passati dal capolavoro de Il giudizio universale a I nuovi mostri. Un certo tipo di film arriva ad essere prodotto solo per ignoranza. Dirigenti, imprenditori del settore e funzionari istituzionali pensano che il pubblico voglia ridere o storie banali facilmente accessibili. La televisione commerciale ha sicuramente una grande responsabilità in questa degenerazione. Berlusconi è stato per l’Italia come Caligola per l’antica Roma. Ha avuto un’incidenza distruttiva per il nostro paese. I programmi televisivi dagli anni Ottanta hanno desertificato il nostro immaginario, rendendolo banale, omologato e fintamente moraleggiante, e hanno contribuito a formare un non-pensiero, per cui ad un’immagine corrisponde sempre una vuota etichetta. A questa estrema vacuità si dovrebbe contrapporre un pensiero forte, ricco, articolato, che tanti film riescono ancora ad esprimere.  
In Italia purtroppo non si è mai ritenuto di investire nella cultura. Se gli americani avessero avuto il Colosseo, avrebbero organizzato le lotte dei gladiatori. A Verona avrebbero allestito spettacoli quotidiani di Romeo e Giulietta, a Pompei scene dell’antica Roma e a Firenze letture pubbliche di Dante. Invece il nostro patrimonio culturale va sprecato e non viene mai incentivata la creatività, che sarebbe una forza viva del paese.  
  

La povertà dei film autoprodotti ne limita le possibilità espressive. Se si paragona un’opera costata poche migliaia di euro e realizzata in poco tempo con lo sfarzoso film di una major il confronto è impari. Come diceva Edgar Ulmer dei suoi film: “Non si deve usare lo stesso metro di giudizio per la Rolls Royce e per la 2 cavalli, che spesso si rivela più utile della Rolls Royce”.
In realtà l’indipendenza di un film va considerata come un valore a se stante. Chi l’ha fatto aveva una urgenza di raccontare qualcosa e ha scommesso su di sé. Sono storie che non sono edulcorate per raggiungere un ampio pubblico e non c’è il filtro del produttore che tende ad ammorbidire tutto. In questo senso l’indipendenza è un pregio, non un difetto.
Purtroppo gli esercenti sono tenuti spesso a prendere film che non incassano, pur di avere un blockbuster dopo. Prendi Zoran, il film con Battiston. Come rapporto tra biglietti e numero di copie è andato benissimo. Eppure molti esercenti hanno dovuto voltare le spalle alla pellicola e per accordi pregressi con le grandi distribuzioni. Questo accade perché ci sono lobby potentissime in grado di influenzare le uscite di un’intera stagione. Un potere ricattatorio che fa sì che vengano preferite le pellicole di una distribuzione importante rispetto alle proposte indie. Bisognerebbe capire che non ci sono solo Checco Zalone, Verdone e i cine-panettoni, e che esiste anche un target di pubblico diverso. In Italia però mancano regole chiare per frenare l’oligopolio del mercato distributivo. Spesso ci sono intrecci di relazioni e interessi economici difficili da spezzare. Ad esempio quegli esercenti che hanno accettato il digitale a patto che le distribuzioni pagassero una tassa onerosa (VPF) che solo le grandi distribuzioni si posso permettere di pagare. Ciò ha chiuso di fatto il mercato ancora di più.
Medusa, Rai Cinema, Warner e Filmauro si dividono i 50 maggiori incassi di film. Con questa estrema concentrazione dell’audiovisivo e le pervasive campagne marketing di pochi prodotti, il lavoro delle produzioni e delle distribuzioni indipendenti si fa sempre più difficile, schiacciate dalla concorrenza.


Quali sono oggi i generi più gettonati e quelli che trovano più ostacoli?
Abbiamo registrato diverse resistenze verso l’horror movie, che incontra ancora oggi dei pregiudizi. Gli esercenti delle sale diffidano del genere horror realizzato da autori italiani e temono una risposta tiepida del pubblico. Così anche la fantascienza, il fantasy e più in generale il cinema di genere trova un’accoglienza fredda tra i gestori delle sale.  
La commedia viene percepita come il macro-genere più fortunato e attrattivo. Spaghetti Story di Ciro De Caro è stato un caso nazionale. Girato in 11 giorni con 15mila euro, ha fatto 13 settimane di sold out a Roma e grazie ad una straordinaria campagna media marketing e stampa di Laboratorio Bizzarro, al passaparola e alle ottime recensioni è andato bene a Trieste, Milano, Torino, Genova, Perugia, Rimini, Napoli e Catania, raggiungendo 50 schermi in 12 settimane di programmazione. Affronta il tema della disoccupazione giovanile e della droga con toni brillanti ed è stato definito “il fenomeno cinematografico della stagione”. Ma se fosse uscito alla maniera delle grandi distribuzioni, avrebbe rivoluzionato l’intero sistema. Il successo di Spaghetti Story probabilmente dovrebbe far riflettere.  

Oltre a Ciro De Caro (che ho recensito e di cui ho già scritto in http://colpidiscena.blogspot.it/2014/01/spaghetti-story-e-che-la-rivoluzione.html) quali sono i registi più promettenti della nuova generazione e le opere che, seppure nate con pochissimi fondi, non hanno le goffaggini del “cinema povero”?  

Ci sono tantissimi registi che meriterebbero maggiore riconoscenza dal loro paese.
Andres Arce Maldonado usa il digitale come pochi… aggiungerei in Europa. Ha un occhio dotato di un talento raro che si può definire più come un “dono”. Autore eclettico ha affrontato tanti generi. Sua opera prima Falene, poi tanti documentari e corti di successo approdati in moltissimi importanti festival. Suo ultimo lavoro Carta Bianca.
Lorenzo Bianchini è il nostro Joe Dante, un artista unico del panorama dell’horror internazionale. Friulano, classe ‘68, ha realizzato storie di grande rigore formale che all’estero sono apprezzate e solo nel nostro paese vengono sottovalutate. Oltre il guado è un horror raffinato, un incubo psicologico che lascia incollati alla poltrona.
Ivan Zuccon, l’autore di Nympha, Colour from the Dark e Wrath of the Crows, ha un immaginario ricchissimo, che si ispira ai racconti di Lovecraft, e potrebbe essere definito come il nuovo Dario Argento. I suoi horror sono distribuiti in Inghilterra e Stati Uniti, eppure in Italia tardano a trovare la giusta accoglienza.

Flavio Moretti ha diretto Il magico Natale di Rupert e potrebbe essere definito il Tim Burton italiano. Ha compiuto un curioso esperimento di fantasy, con modellini e décor anni Cinquanta, e gli effetti speciali di Michele Guaschino e Massimo Sponza non fanno rimpiangere i visual effects americani. L’opera è stata selezionata in ben 20 festival ed ha ricevuto diversi premi.  
L’autore di Sagrascia, Bonifacio Angius, ha costruito un road movie onirico lungo una Sardegna incantata. Un esordio che ricorda il migliore Tornatore e spiazza tutti gli spettatori, autoprodotto con il sostegno dell'associazione Unione Cineasti Indipendenti e un budget di appena 15 mila euro. Il film di Angius fa gridare vendetta, perché un festival come quello di Venezia avrebbe dovuto ospitarlo e premiarlo.  
Un altro nome interessante è Domiziano Cristopharo, regista visionario e surreale. È autore dei pluripremiati House of flesh mannequins, The Museum of Wonders e Red Krokodil. Quest’ultimo è un film claustrofobico e durissimo, che indaga la dipendenza dalla droga dall’interno e sono fiero di aver distribuito.
E infine, tra i tanti, Giacomo Cimini, 36enne che ha dovuto proseguire la sua carriera a Londra pur di realizzare opere di fantascienza, bistrattate in patria. Il corto The Nostalgist, ambientato in un lontano futuro, racconta del tenero rapporto tra padre e figlio ed è realizzato con grande professionalità.

Ce ne sono tanti altri e mi spiace non mi vengano tutti in mente in questo momento ma veramente l’Italia è un panorama ricco di talenti e se non li nomino tutti non è perché valgono di meno rispetto ai nominati.

Per altre info sulla società di distribuzione vedi il sito: www.distribuzioneindipendente.it

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