DISTRIBUZIONE
INDIPENDENTE punta a un ritorno alla dimensione sociale della sala e alla scoperta di film coraggiosi, di opere dal potenziale
commerciale e di autori politicamente scorretti, in netta controtendenza
rispetto all’omologazione culturale dell’ultimo decennio.
Uno dei tre
soci di DISTRIBUZIONE INDIPENDENTE, Giovanni Costantino, ci parla dello stato
attuale della cinematografia in Italia. Quest’anno la sua società di
distribuzione ha messo in catalogo opere d’autore e di genere che hanno saputo
attrarre l’interesse della stampa e di un pubblico attento e vivace, ottenendo
risultati decisamente positivi.
Di seguito
l’intervista a Giovanni. Costantino smentisce tanti luoghi comuni e indica una
strada coraggiosa per fare cinema e non sprecare i tanti talenti che abbiamo.
Ho
incontrato Giovanni Costantino in un locale trendy di Roma, vicino a Campo dei
Fiori, davanti a una spremuta di limone, seduto su un morbidissimo pouf.
Mi sono
lasciato travolgere dalla personalità magnetica di Giovanni, che oltre alla
passione per il proprio lavoro è in grado di comunicarti il suo afflato etico e
la “missione” che incarna. Non è un caso che in così poco tempo Costantino si
sia costruito una solida reputazione di distributore e abbia all’attivo diversi
successi, tra cui SPAGHETTI STORY, e
conti oltre venti sale affiliate al progetto e dislocate in quasi tutte le
regioni italiane.
Anzitutto
una domanda pratica. Quanto costa distribuire un film in una sala
cinematografica tradizionale? Ci sono costi che si possono abbattere?
Distribuire un film per un circuito medio di
sala costa circa dalle 50 alle 100mila euro. Teniamo conto che in questa cifra
è compresa la campagna marketing e la stampa delle locandine. (Il solo lancio
stampa e la strategia di media marketing valgono da sole almeno 15 ml euro)
DISTRIBUZIONE INDIPENDENTE, grazie al suo
straordinario staff tecnico di Magestic Film, ha trovato il modo per abbattere
le spese con una compressione la cui qualità si avvicina a quella del Blu-Ray.
Il nostro sistema distributivo è basato su file digitali resi disponibili ai
gestori delle sale a kilometro 0, tramite una semplice interfaccia web.
Com’è nata
l’idea di fare il distributore?
Sono diventato distributore casualmente. Non
volevo fare questo lavoro, ma nel ruolo di produttore ho sperimentato sulla mia
pelle cosa significa non trovare adeguati canali di distribuzione, non avere visibilità
e restare ignoti al grande pubblico. Quando ho prodotto Falene, mi sono scontrato con questo tipo di difficoltà. E allora
mi sono detto che bisognava cercare una strada che potesse dare un’opportunità
a tutti i film maker che riescono a fare qualcosa di buono ma che non sono
conosciuti perché i loro film non arriveranno mai nelle sale. Fin da subito,
visti gli autori di grandissimo livello trovati in stato di abbandono e
reclutati per il nostro primo catalogo, abbiamo avvertito la distribuzione quasi
come una missione. Il nostro obiettivo è togliere dall’invisibilità le opere
meritorie e dimostrare che esistono talenti inespressi, spesso condannati a
restare sconosciuti.
Esiste poi una difficoltà ancora più grande, che è alla base del lavoro di produzione, quella di non riuscire a reperire le risorse economiche per realizzare un film. Ho lottato anche contro questo genere di ostacolo, nella veste di produttore, quando ho presentato al Mibact una sceneggiatura e un piano di lavorazione per un film ambizioso e di denuncia, che però è stato bocciato dalla Commissione.
Esiste poi una difficoltà ancora più grande, che è alla base del lavoro di produzione, quella di non riuscire a reperire le risorse economiche per realizzare un film. Ho lottato anche contro questo genere di ostacolo, nella veste di produttore, quando ho presentato al Mibact una sceneggiatura e un piano di lavorazione per un film ambizioso e di denuncia, che però è stato bocciato dalla Commissione.
A questo
punto sono curioso. Di che parlava questo copione?
Il film, che purtroppo non è mai stato
realizzato, parlava di tre fratelli che, accusati di aver ucciso il padre, sono
finiti al centro dell’attenzione mediatica e approdati in televisione. Questo
l’antefatto. La storia comincia quando questi ragazzi, trascurati dai media e
in crisi di popolarità, capiscono che l’unico modo per tornare alla ribalta è riaprire
il caso dell’uccisione del padre attraverso prove false. Il tema, che allora
come oggi è di attualità, è l’esteriorità e l’egoismo di una società mediatica
che non ha nessuna umanità. Purtroppo la commissione del Mibact bocciò in modo
molto singolare il progetto (“questa tematica è stata già talmente tanto
utilizzata nel cinema da potersi ritenere usurata”) e, nonostante la presenza
di grandi professionisti che avevo coinvolto e che erano rimasti entusiasti
della storia, si arenò dopo il no del Ministero.
Dopo tanta
fatica per racimolare i finanziamenti per la realizzazione, molti film sono
destinati a restare “invisibili”. Cosa devono fare questi film per essere
distribuiti da DISTRIBUZIONE INDIPENDENTE? Quali sono i criteri con cui
selezionate il vostro catalogo?
DISTRIBUZIONE INDIPENDENTE non ha nessuna
preclusione. Spesso il genere comico è quello che permette maggiori incassi ed
ha un appeal commerciale, ma abbiamo nel nostro listino horror, fantasy, film d’autore
e tutte le opere indipendenti che ci hanno colpito da spettatori. Sono scelte emotive, di pancia, che ci
guidano che hanno ovviamente alla base una cultura letteraria e cinematografica
significativa, così come una riflessione
su come possiamo lavorare con l’opera e con il suo autore e come possiamo
comunicare il valore del film al pubblico. Ci chiediamo se il film può avere un
proprio target, un pubblico di riferimento, e se ha una tematica interessante e
di impatto. La risonanza che le testate giornalistiche possono dare all’opera è
altrettanto importante. Avere un riconoscimento dalla critica e delle buone
recensioni naturalmente spinge i cinefili a cercare il film nelle sale. Un
elemento che ha un peso decisivo nella scelta di DISTRIBUZIONE INDIPENDENTE è
la risonanza del film nel circuito festivaliero e gli eventuali riconoscimenti
che ottiene. Un piazzamento in un festival del cinema può influenzare la nostra
decisione e fornisce un maggiore appeal al film.
La nostra società deve valutare bene le sue
scelte, perché non può permettersi di sbagliare. Se fallisce un colpo, rischia
di morire.
Quale è il
festival cinematografico più interessante nel panorama audiovisivo?
Berlino e Cannes sono i festival dove si fa
il vero business, frequentati da agenti di vendita, produttori e distributori
di altissimo livello. Ma per un piccolo distributore, che non ha le
disponibilità economiche dei grandi, non sono mercati percorribili. Le major
possono acquistare più titoli, fare pressione e influenzare i professionisti
del settore. Forse oggi anche questi grandi festival stanno diventando più
accessibili. In Italia, oltre a Venezia, Roma e Torino presentano film notevoli
e hanno un loro bacino di utenza. Ma per avere un festival dove non ci siano
selezioni dubbie bisogna andare all’estero. L’International Film Festival di Rotterdam è una vetrina dove vige la
meritocrazia assoluta e trovi forze nuove, fresche, grintose. A Rotterdam si
può fare scouting e scoprire voci inedite. C’è
una programmazione di altissima qualità, che prevede anteprime eccellenti,
in un clima di grande trasparenza. Così come al Raindance di Londra.
Sei
d’accordo con i produttori americani che dicono che un domani l’uscita di un
film nelle sale sarà circoscritto alle prime due settimane e la distribuzione
si concentrerà nel video on-demand e negli abbonamenti digitali? Netflix ha
superato i 40 milioni di utenti ed è arrivata in Francia. Non ti fa paura la
concorrenza delle piattaforme digitali?
Io la penso in modo controcorrente. Il cinema è il cugino del teatro. Deve
tornare ad essere un centro di aggregazione importante, un luogo dove si fa
cultura e la gente si incontra, come una “agorà” dell’antica Atene.
La sala ha perso progressivamente il suo
ruolo sociale e culturale, soprattutto nelle grandi città, ma si può invertire
questa tendenza.
A
volte è sbagliato proprio il modo di presentare il film e c’è una forma di
pigrizia mentale. Oggi lo spettatore è ridotto a fruitore passivo:
paga-vede-esce. Questo ha decretato, dopo 50 anni di distribuzione sempre alla
stessa maniera, l’allontanamento del pubblico dalle sale. Il pubblico dovrebbe
essere reso più partecipe, poter dire la sua alla fine della proiezione e
magari interloquire con il cast tecnico e artistico del film. Questo
significherebbe restituire al cinema la sua natura di evento e far tornare lo
spettatore un fruitore attivo.
A che è
dovuto lo stato comatoso dell’industria culturale?
Nell’ultimo ventennio siamo passati dal
capolavoro de Il giudizio universale
a I nuovi mostri. Un certo tipo di
film arriva ad essere prodotto solo per ignoranza. Dirigenti, imprenditori del
settore e funzionari istituzionali pensano che il pubblico voglia ridere o
storie banali facilmente accessibili. La televisione commerciale ha sicuramente una
grande responsabilità in questa degenerazione. Berlusconi è stato per l’Italia
come Caligola per l’antica Roma. Ha avuto un’incidenza distruttiva per il
nostro paese. I programmi televisivi dagli anni Ottanta hanno desertificato il
nostro immaginario, rendendolo banale, omologato e fintamente moraleggiante, e
hanno contribuito a formare un non-pensiero, per cui ad un’immagine corrisponde
sempre una vuota etichetta. A questa estrema vacuità si dovrebbe contrapporre
un pensiero forte, ricco, articolato, che tanti film riescono ancora ad
esprimere.
In Italia purtroppo non si è mai ritenuto di
investire nella cultura. Se gli americani avessero avuto il Colosseo, avrebbero
organizzato le lotte dei gladiatori. A Verona avrebbero allestito spettacoli quotidiani
di Romeo e Giulietta, a Pompei scene dell’antica Roma e a Firenze letture
pubbliche di Dante. Invece il nostro patrimonio culturale va sprecato e non
viene mai incentivata la creatività, che sarebbe una forza viva del paese.
La povertà
dei film autoprodotti ne limita le possibilità espressive. Se si paragona un’opera
costata poche migliaia di euro e realizzata in poco tempo con lo sfarzoso film
di una major il confronto è impari. Come diceva Edgar Ulmer dei suoi film: “Non
si deve usare lo stesso metro di giudizio per la Rolls Royce e per la 2
cavalli, che spesso si rivela più utile della Rolls Royce”.
In realtà l’indipendenza di un film va
considerata come un valore a se stante. Chi l’ha fatto aveva una urgenza di
raccontare qualcosa e ha scommesso su di sé. Sono storie che non sono
edulcorate per raggiungere un ampio pubblico e non c’è il filtro del produttore
che tende ad ammorbidire tutto. In questo senso l’indipendenza è un pregio, non un difetto.
Purtroppo gli esercenti sono tenuti spesso a
prendere film che non incassano, pur di avere un blockbuster dopo. Prendi Zoran, il film con Battiston. Come
rapporto tra biglietti e numero di copie è andato benissimo. Eppure molti
esercenti hanno dovuto voltare le spalle alla pellicola e per accordi pregressi
con le grandi distribuzioni. Questo accade perché ci sono lobby potentissime in
grado di influenzare le uscite di un’intera stagione. Un potere ricattatorio
che fa sì che vengano preferite le pellicole di una distribuzione importante
rispetto alle proposte indie. Bisognerebbe capire che non ci sono solo Checco
Zalone, Verdone e i cine-panettoni, e che esiste anche un target di pubblico
diverso. In Italia però mancano regole chiare per frenare l’oligopolio del
mercato distributivo. Spesso ci sono intrecci di relazioni e interessi
economici difficili da spezzare. Ad esempio quegli esercenti che hanno
accettato il digitale a patto che le distribuzioni pagassero una tassa onerosa
(VPF) che solo le grandi distribuzioni si posso permettere di pagare. Ciò ha
chiuso di fatto il mercato ancora di più.
Medusa, Rai Cinema, Warner e Filmauro si
dividono i 50 maggiori incassi di film. Con questa estrema concentrazione
dell’audiovisivo e le pervasive campagne marketing di pochi prodotti, il lavoro
delle produzioni e delle distribuzioni indipendenti si fa sempre più difficile,
schiacciate dalla concorrenza.
Quali sono
oggi i generi più gettonati e quelli che trovano più ostacoli?
Abbiamo registrato diverse resistenze verso
l’horror movie, che incontra ancora oggi dei pregiudizi. Gli esercenti delle
sale diffidano del genere horror realizzato da autori italiani e temono una
risposta tiepida del pubblico. Così anche la fantascienza, il fantasy e più in
generale il cinema di genere trova un’accoglienza fredda tra i gestori delle
sale.
La commedia
viene percepita come il macro-genere più fortunato e attrattivo. Spaghetti Story di Ciro De Caro è stato un caso nazionale. Girato in 11
giorni con 15mila euro, ha fatto 13 settimane di sold out a Roma e grazie ad una
straordinaria campagna media marketing e stampa di Laboratorio Bizzarro, al
passaparola e alle ottime recensioni è andato bene a Trieste, Milano, Torino,
Genova, Perugia, Rimini, Napoli e Catania, raggiungendo 50 schermi in 12
settimane di programmazione. Affronta il tema della disoccupazione giovanile e
della droga con toni brillanti ed è stato definito “il fenomeno cinematografico
della stagione”. Ma se fosse uscito alla maniera delle grandi distribuzioni,
avrebbe rivoluzionato l’intero sistema. Il successo di Spaghetti Story probabilmente dovrebbe far riflettere.
Oltre a Ciro
De Caro (che ho recensito e di cui ho già scritto in http://colpidiscena.blogspot.it/2014/01/spaghetti-story-e-che-la-rivoluzione.html) quali sono i registi più promettenti della nuova generazione e le
opere che, seppure nate con pochissimi fondi, non hanno le goffaggini del
“cinema povero”?
Ci sono tantissimi registi che meriterebbero
maggiore riconoscenza dal loro paese.
Andres Arce
Maldonado usa il digitale come pochi… aggiungerei in Europa. Ha un occhio dotato di un
talento raro che si può definire più come un “dono”. Autore eclettico ha
affrontato tanti generi. Sua opera prima Falene,
poi tanti documentari e corti di successo approdati in moltissimi importanti
festival. Suo ultimo lavoro Carta Bianca.
Lorenzo
Bianchini è il nostro Joe Dante, un artista unico del panorama dell’horror
internazionale. Friulano, classe ‘68, ha realizzato storie di grande rigore formale
che all’estero sono apprezzate e solo nel nostro paese vengono sottovalutate. Oltre il guado è un horror raffinato, un
incubo psicologico che lascia incollati alla poltrona.
Ivan Zuccon, l’autore
di Nympha, Colour from the Dark e Wrath
of the Crows, ha un immaginario ricchissimo, che si ispira ai racconti di Lovecraft,
e potrebbe essere definito come il nuovo Dario Argento. I suoi horror sono
distribuiti in Inghilterra e Stati Uniti, eppure in Italia tardano a trovare la
giusta accoglienza.
Flavio Moretti ha diretto Il magico Natale di Rupert e potrebbe
essere definito il Tim Burton italiano. Ha compiuto un curioso esperimento di
fantasy, con modellini e décor anni Cinquanta, e gli effetti speciali di
Michele Guaschino e Massimo Sponza non fanno rimpiangere i visual effects
americani. L’opera è stata selezionata in ben 20 festival ed ha ricevuto
diversi premi.
L’autore di Sagrascia, Bonifacio Angius,
ha costruito un road movie onirico lungo una Sardegna incantata. Un esordio che
ricorda il migliore Tornatore e spiazza tutti gli spettatori, autoprodotto con
il sostegno dell'associazione Unione Cineasti Indipendenti e un budget di
appena 15 mila euro. Il film di Angius fa gridare vendetta, perché un festival
come quello di Venezia avrebbe dovuto ospitarlo e premiarlo.
Un altro nome interessante è Domiziano Cristopharo, regista
visionario e surreale. È autore dei pluripremiati House of flesh mannequins, The
Museum of Wonders e Red Krokodil.
Quest’ultimo è un film claustrofobico e durissimo, che indaga la dipendenza
dalla droga dall’interno e sono fiero di aver distribuito.
E infine, tra i tanti, Giacomo Cimini, 36enne che ha dovuto proseguire la sua carriera a
Londra pur di realizzare opere di fantascienza, bistrattate in patria. Il corto
The Nostalgist, ambientato in un
lontano futuro, racconta del tenero rapporto tra padre e figlio ed è realizzato
con grande professionalità.
Ce ne sono tanti altri e mi spiace non mi
vengano tutti in mente in questo momento ma veramente l’Italia è un panorama
ricco di talenti e se non li nomino tutti non è perché valgono di meno rispetto
ai nominati.
Per altre info sulla società di distribuzione vedi il sito: www.distribuzioneindipendente.it
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