lunedì 17 settembre 2012

Intervista a Massimo Lugli, il re del thriller nostrano

Giornalista di cronaca nera dal fiuto infallibile e dalla penna acuminata, Lugli da qualche anno si è scoperto scrittore di razza e con Il carezzevole, L'adepto e Il guardiano (tutti usciti per Newton Compton) ha tracciato l'affresco di una Roma tentacolare e nerissima.
Gli abbiamo posto alcune domande sul suo ciclo di romanzi dedicato a Corvino... e ne è venuto fuori un ritratto originale e inconsueto dell'uomo e dell'artista.      

Ne Il carezzevole, il primo libro in cui compare il giornalista Corvino, il tuo protagonista si ritrova a fare i conti con un serial killer. Ne L'adepto Corvino, ormai 50enne, si imbatte nella realtà dei riti satanici. Nell’ultimo romanzo, Il guardiano, è alle prese con la setta di un maestro di kendo. Il tuo alter ego vive tutte esperienze estreme e si ha la sensazione tangibile che possa subire la fascinazione del male. Esiste davvero una metà oscura in ognuno di noi, una parte che non conosciamo?
Si, Marco Corvino, fin dal suo esordio, subisce la fascinazione del male assoluto, una sorta di "malattia" dell'anima da cui non guarirà mai più. Credo, da studente di taoismo, che ognuno di noi abbia una parte yin e una yang che si alternano di continuo in una sorta di equilibrio dinamico. La metà oscura, nottura e segreta di Marco emerge con maggiore o minore forza in ognuna delle sue avventure. Nella mia esperienza di cronista di nera, iniziata nel 1975, ho visto moltissimi casi simili: omicidi improvvisi e inspiegabili che sembravano generati da una incontrollabile pulsione interiore. Non sto parlando di schizofrenici, ma di gente normalissima che, all'improvviso, diventa una belva: il giudice che uccise il marito della sua amante e lo seppellì cercando di depistare le indagini sulla mafia, l'avvocato che stuprò una collega, la signora che fece fuori l'ex marito per poi buttare il corpo nel Tevere, gli amanti diabolici di Riano e tantissime altre vicende. Diciamo che Marco Corvino ha una forte predisposizione a saltare il confine ma, finora, non lo ha mai fatto. In fondo, resta ancorato al suo ruolo di giornalista che lo salva dallo sprofondare.
Il guardiano è largamente ispirato dalla tua passione per le arti marziali. Com’è nata questa passione? Che cosa rappresentano per te karate, judo, tai ki kung e wing tsun?
Ho iniziato a praticare le arti marziali (lo judo) a 9 anni e ne sono rimasto incantato. Allora era uno sport poco conosciuto e ne ho scritto nel romanzo L'istinto del lupo, che ha una forte componente autobiografica. A 14 anni mi sono iscritto a una palestra di Taekwon Do e ho dovuto smettere a 20, quando già combattevo in qualche campionato italiano, per cominciare a lavorare a Paese sera. Poi, appena possibile, ho ricominciato: karate fino a cintura nera e poi, da 20 anni, Wing Tsun e Tai Ki Kung, una disciplina che pratico ogni giorno per un'ora e insegno a pochi amici (sono diventato istruttore un anno fa con grande fierezza). Le arti marziali, per me, sono un percorso di vita e se non avessi la passione per il giornalismo e la scrittura ne avrei fatto sicuramente un lavoro. Passo ore a guardare video di tutte le discipline da combattimento, non perdo un film di qualità, leggo riviste specializzate e a volte partecipo a seminari assurdi tipo "spada e daga medioevali" o "combattimento ravvicinato con il coltello". I benefici psichici e fisici sono enormi ma le arti marziali si praticano, essenzialmente, per la gioia di farlo, senza alcun fine utilitaristico. Anche l'autodifesa, dopo i primi due anni, passa in secondo piano. Al mio maestro Ming Wong qualcuno chiese a cosa serve il tai ki kung. Risposta: a nulla. E' un paradosso taoista ma, come tutti i paradossi, contiene molta verità.
Quando scrivi un romanzo conosci già la fine? Ti costruisci una scaletta prima di affrontare la stesura dell’opera? Sei più istintivo o più calcolatore nella costruzione dell’intreccio?
Quando inizio un romanzo ho solo una vaga idea di quello che accadrà. Con Corvino, il tema centrale è quale sarà il nucleo della trama: serial killer, riti satanici, arti marziali o... quello che arriverà tra poco, insomma, il viaggio del protagonista. Non faccio scalette, non penso neanche troppo all'intreccio che si sviluppa quasi da solo. Decido giorno per giorno. E spesso i personaggi mi prendono la mano e mi portano in qualche direzione che non avrei mai immaginato. Nel primo romanzo, La legge di Lupo solitario, avevo in testa l'inizio e la fine, in mezzo il buio totale. Ci ho messo 5 anni a scriverlo, poi ho affinato la tecnica e oggi sforno, in media, un libro ogni cinque o sei mesi ma resto fedele alla tecnica dell'improvvisazione. Spesso il mio lavoro mi fornisce spunti che finiscono dritti nelle pagine del romanzo. Ho fatto un piccolo sondaggio personale tra gli scrittori che ho conosciuto e ho scoperto che molti fanno come me... E io credevo di essere originale.
La Roma del “ciclo di Corvino” è assai realistica e forse per questo risulta più inquietante. Quanto conta nell’attività di scrittore avere conoscenze dirette del mondo che si racconta?
Io penso che sia molto importante. Hemingway diceva che per scrivere di un alcolizzato devi esserlo o almeno avere un amico alcolista. Non so se è vero ma penso che in un noir la conoscenza degli ambienti criminali, di quelli investigativi, dello sviluppo di un'inchiesta e di una redazione di cronaca siano un punto di forza. Un elemento che non basta ma aiuta. Molti libri di magistrati e poliziotti sono illegibili, poi arriva De Cataldo e trasforma la sua esperienza in letteratura, voilà. Un successo meritatissimo, almeno secondo il mio modestissimo parere. Per ogni romanzo che scrivo, comunque, tento di documentarmi al meglio e spesso ricorro all'aiuto di amici poliziotti o carabinieri. Credo che realtà e fantasia, in ogni trama di successo, debbano intrecciarsi di continuo, in un gioco perenne di Yin e Yang.
Sei d’accordo con le affermazioni di Jean-Claude Izzo secondo cui il giornalismo d’inchiesta ha le armi spuntate e la “forma romanzo” può venire in soccorso per rendere una denuncia sociale più esportabile e prendere di petto le materie scottanti? Tocca davvero alla letteratura svelare la realtà degradata delle nostre città?
Sono d'accordo. Il giornalismo investigativo, in Italia, è fatto di carta anzi, di carte: le carte processuali che vengono fornite da pm o poliziotti e pubblicate. I cronisti italiani, me compreso, hanno pochissime armi per indagare veramente: i tempi della controinformazione sono tramontati da un pezzo. La letteratura può supplire a questa carenza di base anche se spesso rischia di debordare e esagerare. Penso che oggi, più che nel romanzo, molte realtà scottanti vengano svelate dai libri-inchiesta che spesso sono una bella forma di giornalismo investigativo. Penso allo scrittore che va a vivere in un campo rom, si fa rinchiudere in un centro di espulsione per extracomunitari o semplicemente, elenca i privilegi di politici, medici, sindacalisti ecc...Ma per restare a De Cataldo, il suo monumentale romanzo sulla banda della Magliana ha trovato tanti epigoni che, alla fine, hanno descritto una storia criminale diversissima da quello che era in realtà. Quindi il rischio di deformazione della realtà è sempre in agguato.
Che rapporto hai con il tuo eroe, Corvino? Come ti trovi a scrivere letteratura seriale partendo da elementi fissi ineludibili?
Adoro Marco Corvino. Per me, è una sorta di fratello ombra a cui affido anche qualche piccola rivincita sul mestiere che faccio. Quanto alla letteratura seriale, è una gabbia e una sicurezza al tempo stesso. Se sai che il personaggio e il suo ambiente funzionano, devi tenerne conto per non scontentare il lettore ma, al tempo stesso, accompagnarli in un lento percorso di evoluzione. Inizialmente, pensavo di fermarmi al Carezzevole, è stato quasi un caso se Marco è sopravvissuto e ha potuto affrontare altre avventure. Ora mi ci sono affezionato e credo che lo terrò in vita ancora per un po' ma voglio evitare di cristallizzarmi su di lui. Prima o poi lo abbandonerò, ma non adesso. Per Lupo, invece, non ho avuto problemi: dopo il prequel ho decretato la sua uscita di scena anche se...mai dire mai. Questa è la bellezza della letteratura rispetto al giornalismo: nulla è stabilito per sempre, sei tu, l'autore, a decidere (oltre, naturalmente, ai lettori che sono i veri arbitri e giudici per chiunque pubblichi qualcosa).
Questa estate c’è stata una forte polemica sugli editori che avevano abbassato i prezzi dei libri. Cosa ne pensi dell’editoria low cost? Un limite o un vantaggio offrire libri a prezzi più bassi?
Sono convinto che alla Newton Compton spetterebbe un premio speciale dell'Unesco per aver abbassato i prezzi dei libri, non solo i romanzi, mantenendo alto lo standard di qualità. Molti altri editori sono stati costretti ad adeguarsi e questo è un risultato splendido. Ma come si fa a lamentarsi del fatto che la gente non legge se per un romanzetto qualsiasi devi sganciare 18 euro? E in nome di quale principio l'editoria deve mantenere prezzi d'èlite? La Newton non è un'opera benefica: pubblica per vendere e per guadagnare e questo la mantiene libera. Essere pubblicato proprio da loro è stato un dono del cielo perchè, prima che autore, sono stato lettore affezionatissimo anche per i prezzi scontati. Da ragazzo compravo i Millelire e questo mi ha permesso di scoprire opere che forse non avrei mai letto. E credo che con gli e.book, per forza di cose, i prezzi di copertina continueranno a scendere. Se qualche autore strapagato o qualche editore blasè storce il naso beh...affari suoi. Non sai la felicità di vedere la pallina rossa col prezzo sotto i 10 euro sulla copertina dei miei romanzi.
A mio parere stile, ambientazioni e villain dei tuoi romanzi hanno sfatato molti luoghi comuni sul thriller italiano. Ma dove sta andando oggi il giallo nostrano? E’ cambiato qualcosa nell’ultima generazione di scrittori?
Grazie del complimento, spero di aver dato un piccolo contributo allo svecchiamento di certi clichet, primo tra tutti l'eterno commissario sfigato in lite coi superiori burocrati... che noia. Sua Maestrà Camilleri mi perdoni, lui è un'eccezione. Io credo che oggi ci sia una generazione di giovani scrittori che partono dalla cronaca e ci sanno fare, se ne fregano degli schemi e vanno per la loro strada. Penso a Roberto Costantini di Tu sei il male (non è giovane ma ha esordito a 62 anni quindi lo è letterariamente) o a Piergiorgio Pulixi di Una brutta storia o a tanti altri meno conosciuti come Silvana Logozzo, cronista di razza e autrice di uno splendido thriller tra Roma e Israele. Credo che il noir (scusa ma detesto l'espressione giallo che secondo me riporta a quel grassone di Maigret o a quella nonnina di Agatha Christie) si stia evolvendo: è più attento alla cronaca, più focalizzato su personaggi e contesto e forse meno sull'aspetto "chi è l'assassino?". E poi, azione, azione, azione. L'azione è tutto, secondo me. Per imparare a raccontare una sparatoria, mi sono iscritto al poligono, sono diventato tiratore e ho comprato una pistola. Esagerato? Forse ma almeno evito di sparare... cavolate. Molti scrittori dell'ultima generazione sono come me: si documentano, guardano la realtà della strada o dei commissariati e hanno un'impronta più diretta, più cinematografica dei predecessori. L'uso del presente storico e dei dialoghi serrati lo testimonia.
 

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