Le librerie, forse gli unici veri presidi culturali dell'Italia di oggi, chiudono per la crisi. Gli
editori sono confusi davanti al calo delle vendite ed ai cambiamenti del
mercato e agonizzano come pesci fuor d’acqua. La lotta selvaggia dei prezzi e
l’omologazione delle proposte. E poi ancora l’oligopolio dei colossi
editoriali. La bufala dell’ebook e la rivoluzione digitale che non è mai
partita. I tanti italiani che non mettono piede in una libreria.
La fotografia di un paese che non ha mai creduto nella cultura umanistica e neppure in quella scientifica, e oggi non crede a niente di niente.
La fotografia di un paese che non ha mai creduto nella cultura umanistica e neppure in quella scientifica, e oggi non crede a niente di niente.
CASE EDITRICI IN CRISI
Quando si parla di
mercato librario siamo abituati ad una sequela di lamentazioni, ma mai come
oggi i numeri sono stati così deprimenti. Nei soli primi otto mesi del 2012 c’è
stato un calo del 9 per cento. Che tradotto in soldoni vuol dire 10 miliardi di
euro in meno nelle casse. I fatturati dei grandi gruppi editoriali registrano cali
vertiginosi. Difficoltà economiche per il gruppo RCS. Ma anche Feltrinelli e
Giunti non se la passano bene. L’anno scorso il gruppo Giunti ha messo in cassa
integrazione 200 dipendenti, tanto per capirci. Gli altri players, gli editori
piccoli e medi, faticano a piazzare i loro prodotti e si vedono diminuire le
prenotazioni delle proprie novità, perché le librerie sono più interessate ai
libri dei vip, dei calciatori e dei presentatori televisivi. Hobby&Work ha
ridotto drasticamente il numero dei romanzi in uscita bloccando titoli già
previsti. Perdisa Pop limita le novità in pubblicazione. La Meridiano Zero è
stata acquisita da Odoya. La Edizioni Laurus, storica casa editrice di Madone
specializzata in libri per bambini, ha un rosso di sei milioni di euro ed è
finita sotto curatore fallimentare. L’editore Ilisso, che opera da 27 anni a
Nuoro, ha comunicato ai 20 dipendenti la dolorosa decisione di avviarli in
cassa integrazione. Molti altri editori sono alla canna del gas e pensano alla
chiusura.
ETERNO STAGISMO, PRECARIATO
E SCRITTORI AL VERDE
Oggi, uno scrittore
che esordisce con una importante casa editrice prende come anticipo la cifra
vergognosa di 2000 euro, mentre molte case editrici indipendenti stipulano
contratti con i loro autori di scuderia che non prevedono il minimo compenso e
quasi si indignano se qualcuno prova a chiedere di essere pagato per il proprio
lavoro. Per completare il bel quadretto, nell’industria culturale sono
impiegati numerosi stagisti, che vengono sfruttati e buttati via al termine dell’incarico
come carta straccia, e accanto a loro esiste un esercito di precari altamente
specializzati che fanno gli editor, i redattori, i correttori di bozze, gli
addetti all’ufficio stampa. Questi ultimi vengono pagati, se e quando lavorano, con
uno stipendio medio di 1000 euro al mese.
Tutti i cosiddetti
imprenditori del settore si infuriano se un politico dice “con la cultura non
si mangia” e rivendicano l’importanza della loro funzione. Nei fatti però questi
editori dimostrano di avere una bassissima considerazione dei loro scrittori e
dei collaboratori redazionali e non sono disposti a investire sulla cultura e
ad assumersi i relativi rischi di impresa. I rischi li pagano sulla loro pelle gli
scrittori esordienti e chi lavora in redazione a tempo molto determinato.
MORTE DEL LIBRAIO
TRADIZIONALE
Le librerie di
quartiere, quelle indipendenti e a conduzione familiare, sono costrette ad
alzare bandiera bianca per far posto a banche, fast-food e negozi di
biancheria, oppure passano sotto la protezione del franchising dei grandi
gruppi, che pure dal canto loro non vanno così bene. E ad ogni chiusura di
saracinesca, si perdono quote di lettori. Problemi li registrano la Fnac, in
debito di ossigeno, e le librerie Feltrinelli, che fanno rivedere i contratti
ai loro lavoratori. Chiudono a Palermo le due storiche librerie Flaccovio,
frequentate da Tomasi di Lampedusa e da Leonardo Sciascia, e si avvia verso la
cessazione di attività la Flaccovio sas, da settant'anni sul mercato dei libri.
In cassa integrazione i 60 lavoratori della mitica libreria Hoepli, fondata a
Milano nel 1870 e tempio della cultura a due passi da piazza Duomo, che con i
suoi sei piani era la più grande della Lombardia. Stessa sorte per la libreria
di Brera, la libreria Rovello e Utopia, in via Moscova, e la Sherlockiana. A
Firenze sono da tempo chiuse Le Monnier, Porcellino e Martelli. La moria
continua a Napoli, dove sono sparite in un batter di ciglio Guida Merliani,
Libri&libri, De Simone e Marotta. Hanno fallito la Battei a Parma, la
Ghelfi & Barbato a Verona, la Città ad Ancona, la Carducci a Udine, la
Cultura a Catania, l'Agorà a Torino. La libreria Giannelli, un’istituzione
nella Lucchesia, nata nel ‘36, si è dovuta arrendere. A Roma danno l’addio ai
loro clienti la centralissima Remo Croce, la prestigiosa Bibli a Trastevere,
Amore e Psiche a due passi dal Pantheon, la Mondadori a viale Marconi, e decine
di altre.
FALLIMENTO DEL
DIGITALE E RIVOLUZIONE MANCATA

OLIGOPOLIO, MANCANZA
DI CONCORRENZA E VENDITE A COSTO ZERO
Per uscire dalla crisi
la Newton Compton si è inventata i libri “super low cost” a 0,99 centesimi.
Mossa dettata dalla disperazione, sembra però destinata a drogare il mercato ed
a portarlo verso una spirale di negatività, perché abbatte la concorrenza in
termini keynesiani e abbassa drasticamente il valore dell’oggetto libro e le
percentuali di guadagno dell’editore e dell’autore.
Fregata sul tempo dal
diabolico Avanzini, la Mondadori ritira la sua idea di invadere gli scaffali
con una collana economica di romanzi al prezzo di copertina di 2,99 euro.
Sarebbero stati una decina di titoli per tastare il terreno. Nell’andamento
schizofrenico dei tempi la Mondadori prepara nuove ed oscure strategie.
Intanto, al pari di Minimum Fax, per non farsi mancare niente da Segrate
lanciano un modello diverso di vendita. Il gruppo, che stampa più di un quarto
dei libri in circolazione, prevede che in 320 punti vendita possano prenotare
le novità dei loro marchi (Einaudi, Piemme, Sperling) e pagare solo le copie
vendute. Secondo prassi infatti il libraio anticipa ogni volta la spesa per
l’acquisto di un libro, al momento della sua prenotazione, e a fine anno restituisce
le copie invendute all’editore e viene rimborsato del prezzo di copertina.
Ebbene, la rivoluzione copernicana è che d’ora in poi le librerie potranno
prendere libri Mondadori senza anticipare nulla e sborsare i soldi alla resa
delle vendite. Naturalmente la Mondadori se lo può permettere perché ha la
forza economica per esporsi finanziariamente e per venire incontro ai punti
vendita. Gli editori che non hanno la stessa liquidità reggeranno a fatica la
concorrenza del grande gruppo editoriale e le conseguenze, a lungo andare,
saranno nefaste.
Alcuni dei giganti
dell’editoria, che sono Mondadori, RCS, Gems, Mauri Spagnol, Giunti e Feltrinelli,
possiedono, oltre alle case editrici, case di distribuzione e catene librarie.
Anomalia tutta italiana, la Feltrinelli è allo stesso tempo editore,
distributore e rivenditore, visto che la
Pde, attivissimo distributore nazionale, dal 2008 fa parte del gruppo.
Ovviamente i distributori come Pde e Messaggerie, abilmente condizionati,
favoriscono le case editrici che pubblicano con alta tiratura e quelle che
sanno veicolare mediaticamente i loro successi commerciali, a prescindere dalla
qualità dei contenuti, e non si sprecano a portare nelle catene poche copie di
un romanzo di un piccolo editore. Infatti il libro del piccolo editore non è
stato recensito, non lo conosce nessuno e magari alla fine resterà invenduto…
Secondo queste logiche
quasi di cannibalismo, poche e solide realtà imprenditoriali hanno assunto il
controllo della filiera e con il loro monopolio hanno distrutto la competizione,
il pluralismo ed il concetto di libero
mercato. Chi possiede i mezzi finanziari e mediatici impone il suo prodotto
a vari livelli. Il potere economico permette a Mondadori, Mauri Spagnol,
Giunti, Feltrinelli, RCS e Gems di vincere premi, di ottenere recensioni e
interviste televisive, e poi di comparire in prima fila sugli scaffali dei
supermercati e nelle vetrine delle librerie, mentre i romanzi dei piccoli
editori sono esposti ai margini di uno scaffale impolverato, col dorso alla
rovescia. Peggio, si fa sempre più strada la voce secondo cui nelle grandi
catene (leggi Feltrinelli) viga l’ordine di nascondere la novità
dell’indipendente e i commessi siano istruiti a mentire dicendo che il tal
titolo non risulta disponibile, per ostacolare il competitor. Ma è solo una
voce.
BEST SELLER E
OMOLOGAZIONE
Il meccanismo del best
seller (che prima funzionava in modo più equilibrato) adesso si rivolta contro
i suoi stessi creatori e finisce per fare ulteriori danni: i lettori medi
comprano in massa l’ultima boiata di Dan Brown o di Erika Leonard e trascurano
completamente gli altri libri. Cinquanta
sfumature di grigio vende una montagna di libri alta come l’Everest e dal
secondo posto in poi della classifica si vendono solo mucchietti a livello di
collinetta. Il best seller finisce per mangiarsi l’intero mercato e assorbire l’attenzione
di tutte quelle persone, numerosissime in Italia, che entrano in libreria una
sola volta o due in un anno.
C’è poi lo spinoso
discorso dell’omologazione delle proposte. Va il thriller esoterico e allora
tutti si buttano su quel genere. Scoppia la moda dell’erotismo e via ad una
ridda di romanzi pruriginosi. Si assiste ad una generale scopiazzata dei
successi commerciali, ad una rincorsa dell’esistente, che portano a standardizzare
il valore della letteratura popolare (ammesso che sia letteratura) e ad
escludere l’originalità e la qualità di opere più coraggiose. L'editore non
valorizza la diversità ed anche i gusti del lettore forte si guastano. Si
pubblica per consumatori impazienti, attirati dalle potenzialità di
intrattenimento, dai contenuti letti con poco sforzo, dal brand del libro, dal
sottogenere di riferimento. I libri finiscono per assomigliarsi, in una sorta
di marmellata indistinta e insapore, e tutto sembra diventare eguale a se
stesso, privo di idee e di contenuti.
L’ITALIANO MEDIO E’
UNA CAPRA E NON LEGGE
I dati del settore
rispecchiano un crollo delle vendite spaventoso. Non basterà il Maggio dei
Libri, la campagna promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, a
rendere conto del valore sociale della lettura e a incrementare le vendite
editoriali. Strappare 15-20 euro a un ragazzo è diventata un’impresa titanica.
Ancora peggio per gli adulti sopra i 65 che non sono mai stati accaniti consumatori
di romanzi. Il numero degli italiani che leggono, in tempi di vacche magre, è
sempre più in calo. Ci sono migliaia di persone che non hanno mai creduto
nell’importanza della cultura e nel potere di un nuovo umanesimo. Le donne che
comprano un libro all’anno sono il 51,7%; gli uomini il 48,3%. L’italiano sta
al libro come negli anni Quaranta un soldato del
Partito Nazista stava alla pace.
Ne esce il quadro di
un paese rozzo e ignorante, che non ama l’introspezione e preferisce vedere la
televisione che ritirarsi a leggere un buon libro. E’ la fotografia impietosa
di una Italia in profondo declino. Un declino che è morale, culturale ed
economico. Un declino che dura da vent’anni ma che oggi è al suo punto massimo.
Bill Emmott recentemente ha detto che siamo in coma. “Se state annegando in una
crisi che definite senza precedenti è perché gli argini della società civile
non hanno retto. In Italia si è verificato un collasso di tutti gli organi
vitali della comunità. Non c’è istituzione salva, integra, degna. Alla fine,
del vostro Paese resta il corpo scheletrito, ridotto alla fame. Lo scuoti ma
non ricevi segnali di vita.” (Incoraggiante.)
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