E ADATTAMENTI TELEVISIVI IMPERDIBILI.
UNA MAGISTRALE LEZIONE DI NOIR
PER TENTARE DI FERMARE LO SQUARTATORE DELLO YORKSHIRE...
Dai romanzi dell'autore di culto David
Peace è stata tratta una serie inglese che, una volta tanto, non delude e rappresenta un affresco storico potentissimo degli anni Settanta e Ottanta corrotti, violenti e folli.
C’è
qualcosa che fa apparire il Montalbano di Camilleri un romanzetto da educande e
nello stesso tempo rende incommensurabilmente vecchie tutte le serie televisive
poliziesche prodotte in Italia. Chi
ha visto la miniserie inglese noir Red Riding
avrà provato la stessa sensazione spaesante e la stessa incazzatura del
sottoscritto, che quando ha terminato la visione dei tre episodi da 100 minuti si
è domandato perché in Italia non sia possibile vedere un prodotto simile.
«Ho scritto bugie come se fossero vere e la verità come se fossero
bugie, e ci ho sempre creduto.»
Riduzione
per il piccolo schermo dei romanzi dello scrittore David Peace, Red Riding è stata trasmessa nel Regno
Unito da Channel4 e venduta in tutto il mondo, nonché presentata con
grande successo al festival della fiction a Roma nel 2009.
Più che tre episodi televisivi
sono praticamente tre film, opere mozzafiato di sapore cinematografico, autonomi
per stile e per narrazione, capitoli di una saga nerissima che racconta gli
anni Settanta e Ottanta di uno Yorkshire immerso nell’incubo di una caccia al
serial killer, una regione piombato in una profonda crisi economica ed
esistenziale da cui nessuno sembra avere la forza di rialzarsi.
I
tre episodi che compongono la serie Red
Riding raccontano la stessa storia poliziesca da prospettive e angolature differenti:
l’indagine sullo Squartatore dello Yorkshire, che si connette in parallelo ai
loschi affari generati dal boom edilizio e alla corruzione di poliziotti, palazzinari e colletti
bianchi. La storia ha uno sviluppo che prevede tre protagonisti diversi e tre periodi
storici (1974, 1980, 1983), ma permane in
tutti gli episodi e anche nei quattro capitoli della saga letteraria l’ossessione
di prendere il famigerato assassino che insanguina le periferie urbane e ruba
le vite di innocenti ragazzine. Gli anni sono quelli della ristrutturazione
economica imposta dalle politiche della leader conservatrice Margaret Thatcher (da poco passata a miglior vita).
I protagonisti sono un giovane,
arrogante e ingenuo giornalista che indagando sulle bambine scomparse perde il
sonno e non ha paura di minacce e ritorsioni (1974), un idealista detective della polizia di Manchester, mandato
nel West Yorkshire per dirigere le indagini (1980), un pingue e impaurito avvocato che è anche figlio di un
poliziotto e arriva a scoprire un circolo di pedofilia (1983).
Quello
che colpisce di più nella serie antologica è la capacità di restituire immagini
potentissime con una grande economia di mezzi, ma senza l’effetto povero di
molte produzioni italiane. Se ad esempio salta in aria la casa di uno dei
protagonisti, vediamo il bagliore del fuoco riflettersi sul vetro della sua
automobile ma ci emozioniamo lo stesso e troviamo il tutto credibile.
Lo
stile è quello sporco delle pagine di Peace. La pioggia cade sempre in maniera
insistente negli episodi di Red Riding.
La descrizione dei rapporti umani è lucida e senza veli. Gli uomini sono
dominati da frustrazioni e dall’estrema violenza. Nessuno è innocente, nessuno
è privo di colpe. Non c’è spazio per le speranze, in una visione nichilista che
non concede aperture neppure all’amore. Anche il sesso è una menzogna e viene
vissuto come sopraffazione dell’altro. La
fotografia è livida e plumbea, la regia vola in iperboli oppure sta addosso
alle persone, il cast appare dirompente e va da Sean Bean (Il signore degli anelli e Game
of Thrones), a Rebecca Hall (Vicky
Cristina Barcellona e The Town),
Andrew Garfield (The Social Network e
The Amazing Spider-Man), fino a Mark
Addy (Full Monty e Game of Thrones).
«Quattro fotografie di due persone in un
parco.
Platt Fields Park, d’inverno.
Fotografie in bianco e nero di due persone. Un parco davanti a un
laghetto.
Un laghetto grigio e freddo, un cane. Due persone in un parco...
Una delle due sono io.»
Il
lavoro di adattamento dai romanzi è mirabile e gli aggiustamenti sono tutti
sapientemente calibrati.
Il
celebre Red Riding Quartet dello
scrittore David Peace si compone di quattro romanzi che hanno come titolo
l’anno di svolgimento delle vicende (1974,
1977, 1980 e 1983). Un periodo
fondamentale per la storia britannica che lo scrittore ricostruisce grazie ad
uno studio approfondito delle carte e dei documenti dell’epoca e attingendo dai
propri ricordi personali, attraverso quattro punti di vista diversi.
Peace
ha dichiarato in proposito: «Ovviamente
sarebbe molto più semplice limitarsi a un romanzo solo, analizzare il problema
e il periodo con una storia unica. Ma la realtà è che quando mi accingo ad
analizzare un periodo storico, divento quasi ossessionato con il luogo e le
tempistiche e quindi voglio approfondire in maniere molto più profonda e
diretta il problema e parlarne in maniera molto diffusa ed è per questo che
alla fine diventano più di un romanzo.»
Il
linguaggio spesso scade nel turpiloquio (si contano 76 volte la parola “cazzo”
solo nel primo romanzo del ciclo) e lo stile è così essiccato e scarno,
a grado zero, che sembra non avere nessuna parvenza letteraria. Un mondo
intriso di menzogne, che esplora la miseria umana di un distretto corrotto,
operai pavidi, gente impaurita, emarginati abbrutiti, uomini ossessionati dal
sesso e tormentati da rapporti infelici. Lo sguardo è paranoico e schizoide,
come un ritmo punk.
«Me ne restai lì seduto a cantare al suono
del ‘Little drummer boy’, con i suoi
giorni di grazia ormai lontani. Ad aspettare le luci blu e le sirene. A
centoventi all’ora.»
Sul
perché non sia possibile vedere un Red
Riding italiano sul piccolo schermo, la prima risposta è che una simile serie noir
cruda e spietata non può trovare spazio nell’attuale palinsesto di Rai e
Mediaset, dominato da storie edificanti e a lieto fine. Red Riding sarebbe vista da pochissime persone e non è un caso che
la televisione generalista ha individuato come proprio target di riferimento il pubblico anziano
di scarsa cultura e alfabetizzazione. Nell’ultimo anno poi, in tempi di recessione, si preferisce andare sul sicuro e il piccolo schermo ha completamente rinunciato al tentativo di attrarre spettatori giovani
e istruiti (quelli per intenderci che navigano su internet e si sintonizzano su
Sky). Le poche serie poliziesche ansiogene, pur essendo
più costose e adrenaliniche, si rivelano quasi sempre un flop. Basti pensare al Clan dei camorristi, che partito senza
grande concorrenza con 4.986.000 spettatori ha toccato un deprimente 13% di
share con 3.810.000 spettatori e mantenuto una media al di sotto delle aspettative della rete. Insomma, la denuncia
sociale e la spettacolarità del poliziesco non pagano affatto.
La
seconda risposta per cui non sia possibile vedere un Red Riding italiano è che semplicemente non esiste un Red Riding nella nostra letteratura di
genere.
Non
esiste un’opera che indaghi così minuziosamente, e anche così ferocemente,
l’Italia degli anni Settanta e Ottanta, in un’ottica rigorosamente poliziesca.
Se
arrivasse a qualche casa editrice italiana un romanzo simile, privo di
descrizioni e psicologie, mondato da quella "buccia" che tanto piace ai
palati raffinati, verrebbe cestinato nella frazione di un secondo. Troppo
cannibalesco, troppo frammentario, troppo dialogato, troppo concentrato
sull’aspra polpa. “Questa non è letteratura”, direbbe un nostro editor, prima di
liquidarlo.
Peace
è sicuramente una lettura impegnativa. Si ama oppure si detesta. Riesce a
creare un’atmosfera plumbea e sulfurea ed a distruggere il mito della polizia e
del giornalismo d’inchiesta, ma può anche deludere laddove lascia l’azione
incompiuta e nel finale non recupera i fili del discorso narrativo, affermando
l’impossibilità a raggiungere un principio di ragione in un universo confuso e
senza centro.
Negli
Stati Uniti una operazione abbastanza vicina a quella di Peace nella mescolanza
di finzione e realtà e nella ricostruzione di un passato violento e corrotto l’ha
fatta James Ellroy e lo scrittore inglese non ha mai fatto misteri sulla sua
ammirazione per il creatore della tetralogia di Los Angeles (La Dalia nera, Il grande nulla, L.A.: confidential
report e White Jazz). In Peace
come in Ellroy una vorticosa vicenda di sangue non dà sbocco alla giustizia
degli uomini ed i colpevoli restano spesso impuniti.
A
quando in Italia un’opera letteraria così infernale che non faccia sconti e metta al bando il buonismo dei commissari e dei preti di
provincia, ma sappia compiere un viaggio nelle reali viscere del Belpaese?
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