venerdì 16 maggio 2014

Intervista al maestro Marco Werba - LA COLONNA SONORA CHE FA SOGNARE

La colonna sonora ha un potere enorme in un film: completa il senso della storia, esprime quello che tace la sceneggiatura, è in grado di rendere visibile il vissuto di un personaggio, di raccontare il suo passato e le sue emozioni presenti.


Abbiamo intervistato il compositore Marco Werba, già collaboratore di Cristina Comencini, Dario Argento, John Real, David Lee Madison e Aurelio Grimaldi, con alle spalle esperienze internazionali e la vincita del prestigioso Globo d'oro. Werba ha la capacità di calarsi completamente nella tematica che gli viene richiesta. Le sue musiche sono avvolgenti, intense, commoventi e spesso epiche, contengono una sonorità molto visuale, hanno una qualità sia intimista che sinfonica e per questo sono tremendamente accattivanti per le nostre orecchie.

In genere quando si comincia a scrivere una partitura musicale per un film? Basta leggere la sceneggiatura per creare i temi e le sensazioni musicali oppure è necessario vedere le dailies durante lo shooting , o meglio ancora partire con il pre-montato?

L’ideale è quello di essere coinvolti a partire dalla sceneggiatura, per avere tutto il tempo di pensare ai temi musicali legati ai protagonisti del film. Poi il vero lavoro inizia quando il film è in post produzione e si ha la possibilità di visualizzare i personaggi descritti nella sceneggiatura e percepire l’atmosfera del film, i colori, le ombre, le inquadrature. Il compositore di colonne sonore deve rispettare le immagini e scrivere una musica che sia in piena sintonia con lo spirito del film e la psicologia dei personaggi. Deve sincronizzare alla perfezione il commento musicale con le varie situazioni che necessitano di essere sottolineate.

Come ti sei accostato alle immagini di Mr Hush, Giallo e Native, e in che modo i rispettivi film ti hanno ispirato?

“Mr Hush” è un film indipendente statunitense. Il primo film interamente americano (regia e produzione). Ho lavorato a distanza, senza mai incontrare il regista. Lui si è fidato e mi ha dato carta bianca (cosa assai rara). Gli ho inviato tutte le musiche via mail e lui non ha cambiato nulla. Ha lasciato le musiche nei punti previsti (tra l’altro mi ha lasciato decidere in quali scene inserire la musica). 
“Giallo” è stato il lavoro più importante che abbia fatto finora. In tre settimane ho dovuto scrivere, orchestrare, sincronizzare ed incidere tutte le musiche del film, cercando di accontentare sia i gusti del regista, Dario Argento, sia quelli della produzione statunitense, che non sempre coincidevano. Diciamo che è stato un “tour de force” che mi ha dato molte soddisfazioni. Per questa colonna sonora ho vinto tre premi e sono usciti articoli in italiano, inglese e francese. La musica di “Giallo” è stata eseguita dalla Bulgarian Symphony Orchestra. Dario Argento è venuto con me, insieme al fonico Marco Streccioni, ed ha seguito le registrazioni con l’orchestra. La collaborazione con Argento è stata molto stimolante. So che lui ha un altro compositore con il quale lavora da molti anni ma spero che ci saranno altre occasioni per tornare a lavorare insieme. 
“Native” è un piccolo thriller al quale mi sono dedicato con impegno, come se fosse stato un “high budget” statunitense. Ho scritto una musica orchestrale di largo respiro, finanziata dalla “Warner Chappell Music” e, alla fine, la colonna sonora, la canzone che ho scritto insieme a Franco Simone ed il film stesso hanno vinto il “Globo d’oro”.  

Che tipo di difficoltà hai avuto accostandoti al cinema americano, a registi e a manager di Los Angeles? Come vengono scelte le musiche dei film hollywoodiani e delle pellicole USA indipendenti?  

Non nascondo che il mio obiettivo è proprio quello di lavorare con produzioni statunitensi che ti permettono di avere dei budget per le musiche dignitosi e di essere coinvolti in film di varie tipologie. Capisco che riuscire a lavorare a Hollywood vivendo in Italia è quasi impossibile, ma, con molto impegno ed un lungo lavoro di pubbliche relazioni le possibilità aumentano. C’è solo un aspetto del modo in cui gli americani usano le musiche nei film che non mi convince. Loro preferiscono valorizzare gli effetti sonori a discapito della musica. Ho visto film d’azione dove la musica sinfonica, nata per essere ascoltata a volume alto, era missata sotto gli effetti sonori, perdendo la sua forza. Quando avrò l’occasione di lavorare per produzioni statunitensi importanti, lotterò per avere meno musica, ma valorizzare di più quella esistente. Ho da poco firmato un contratto con un’agenzia inglese che spero mi aprirà le porte del cinema britannico oltre a rappresentarmi negli Stati Uniti e nei Paesi Europei.

Se il regista con cui collabori è privo di conoscenze musicali non corri il rischio di vedere depotenziato il tuo lavoro ? Se un film maker ignorante riduce tutta la musica a “bella” o “brutta”, questo non rende difficile il dialogo col compositore?

Si, il rischio c’è. Bisogna dire però che a volte è meglio lavorare con un regista che non abbia conoscenze musicali, ma abbia una certa sensibilità, che non con uno che pensa di conoscere la musica e pretenda di darti indicazioni sull’orchestrazione e la scelta stilistica.

Ogni quanto tempo ti rechi negli Stati Uniti? Come fai a stabilire appuntamenti di lavoro dall’Italia con una base estera e secondo te è possibile per un creativo fare il pendolare da un paese all’altro o addirittura da un continente all’altro?

Buona domanda. Cerco di andare a Los Angeles almeno una volta all’anno. Come dicevo prima, lavorare negli Stati Uniti vivendo in Italia è un’ impresa ardua. Ci sono compositori come Ennio Morricone o Pino Donaggio che sono riusciti a lavorare per vari film statunitensi ma hanno anche perso dei lavori americani perché magari in quel momento stavano in Italia lavorando sulle musiche di un film o una fiction italiana. Il compositore Georges Delerue, che è stato a mio avviso il compositore francese più importante nel settore delle colonne sonore, negli ultimi anni della sua vita si era trasferito negli Stati Uniti. Dopo aver lavorato con Francois Truffaut per vari film, ha così avuto l’occasione di collaborare con Oliver Stone per “Platoon” e “Salvador” e per altre importanti produzioni americane.  

Nella tua esperienza internazionale che differenze hai riscontrato tra le produzioni italiane e quelle estere?

Il rispetto per il lavoro svolto. Qui in Italia ho sofferto molto con alcuni registi presuntuosi ed arroganti che non rispettavano il compositore. Ho avuto una disavventura con un regista che stava lavorando su un film con Giancarlo Giannini che mi ha schiavizzato per alcune settimane senza darmi alcun compenso, chiedendo sempre più musica e modifiche in continuazione. Alla fine era diventato un incubo ed ho rinunciato al lavoro. Negli Stati Uniti c’è più rispetto per l’autore delle musiche e per gli altri collaboratori artistici. Ci sono stati casi anche di illustri compositori che hanno avuto una musica contestata o rifiutata dalla produzione ma il loro lavoro è stato comunque retribuito. Credo che sia molto importante avere rispetto per il lavoro svolto.

Quali sono le musiche (da film o non) che ti hanno maggiormente influenzato nel tuo percorso artistico?

Il film che mi ha spinto a diventare un compositore di musiche per film è stato “Logan’s run” di Michael Anderson, un film di fantascienza poco conosciuto in Italia. La musica, del Premio Oscar Jerry Goldsmith mi aveva colpito perché alternava suoni elettronici molto moderni per le scene ambientate nella città del futuro con un commento musicale invece molto tradizionale e sinfonico.  Dopo aver visto tre volte il film, abbandonai l’idea di diventare regista (avevo girato alcuni film amatoriali in Super 8) e mi resi conto che volevo studiare musica per dedicarmi alle colonne sonore. Il compositore classico che stimo di più per lo stile la forza espressiva è Johann Sebastian Bach.

Cosa manca ai produttori italiani per tentare la sfida sul mercato internazionale?

Manca il coraggio di investire in progetti ambiziosi di largo respiro. Si tende a ridurre sempre di più i budget dei film, rendendo i progetti quasi amatoriali. A volte, invece, è più facile trovare finanziamenti per film internazionali ambiziosi che non per piccoli film che non avranno mai una vera distribuzione. Tra l’altro, la maggior parte dei produttori italiani non parla bene l’inglese. Il mese scorso è venuto un produttore statunitense a Roma e l’ho presentato ad alcuni registi e produttori italiani. Ho dovuto tradurre io. Su sette produttori solo uno parlava l’inglese. A queste condizioni come si fa a costruire una coproduzione con l’estero?

Che consiglio daresti ai giovani musicisti che cominciano la loro carriera in Italia?

Perseverare. Se hanno veramente la passione per la musica e il cinema (ed hanno la capacità di fare questo mestiere) devono darsi molto da fare. Io seguo ogni giorno il sito IMDB e contatto nuove produzioni in continuazione. Sono in contatto con produzioni inglesi, irlandesi, francesi, norvegesi, spagnole, tedesche, cinesi e statunitensi.


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