La
colonna sonora ha un potere enorme in un film: completa il senso della storia, esprime
quello che tace la sceneggiatura, è in grado di rendere visibile il vissuto di
un personaggio, di raccontare il suo passato e le sue emozioni presenti.
Abbiamo
intervistato il compositore Marco Werba, già collaboratore di Cristina
Comencini, Dario Argento, John Real, David Lee Madison e Aurelio Grimaldi, con
alle spalle esperienze internazionali e la vincita del prestigioso Globo d'oro. Werba ha la capacità di calarsi completamente nella tematica che gli
viene richiesta. Le sue musiche sono avvolgenti, intense, commoventi e spesso
epiche, contengono una sonorità molto visuale, hanno una qualità sia intimista
che sinfonica e per questo sono tremendamente accattivanti per le nostre
orecchie.
In
genere quando si comincia a scrivere una partitura musicale per un film? Basta
leggere la sceneggiatura per creare i temi e le sensazioni musicali oppure è
necessario vedere le dailies durante lo shooting , o meglio ancora partire con il
pre-montato?
L’ideale
è quello di essere coinvolti a partire dalla sceneggiatura, per avere tutto il
tempo di pensare ai temi musicali legati ai protagonisti del film. Poi il vero
lavoro inizia quando il film è in post produzione e si ha la possibilità di
visualizzare i personaggi descritti nella sceneggiatura e percepire l’atmosfera
del film, i colori, le ombre, le inquadrature. Il compositore di colonne sonore
deve rispettare le immagini e scrivere una musica che sia in piena sintonia con
lo spirito del film e la psicologia dei personaggi. Deve sincronizzare alla perfezione
il commento musicale con le varie situazioni che necessitano di essere
sottolineate.
Come ti
sei accostato alle immagini di Mr Hush,
Giallo e Native, e in che modo i rispettivi film ti hanno ispirato?
“Mr
Hush” è un film indipendente statunitense. Il primo film interamente americano
(regia e produzione). Ho lavorato a distanza, senza mai incontrare il regista.
Lui si è fidato e mi ha dato carta bianca (cosa assai rara). Gli ho inviato
tutte le musiche via mail e lui non ha cambiato nulla. Ha lasciato le musiche
nei punti previsti (tra l’altro mi ha lasciato decidere in quali scene inserire
la musica).
“Giallo”
è stato il lavoro più importante che abbia fatto finora. In tre settimane ho
dovuto scrivere, orchestrare, sincronizzare ed incidere tutte le musiche del
film, cercando di accontentare sia i gusti del regista, Dario Argento, sia
quelli della produzione statunitense, che non sempre coincidevano. Diciamo che
è stato un “tour de force” che mi ha dato molte soddisfazioni. Per questa
colonna sonora ho vinto tre premi e sono usciti articoli in italiano, inglese e
francese. La musica di “Giallo” è stata eseguita dalla Bulgarian Symphony
Orchestra. Dario Argento è venuto con me, insieme al fonico Marco Streccioni,
ed ha seguito le registrazioni con l’orchestra. La collaborazione con Argento è
stata molto stimolante. So che lui ha un altro compositore con il quale lavora
da molti anni ma spero che ci saranno altre occasioni per tornare a lavorare
insieme.
“Native”
è un piccolo thriller al quale mi sono dedicato con impegno, come se fosse
stato un “high budget” statunitense. Ho scritto una musica orchestrale di largo
respiro, finanziata dalla “Warner Chappell Music” e, alla fine, la colonna
sonora, la canzone che ho scritto insieme a Franco Simone ed il film stesso
hanno vinto il “Globo d’oro”.
Che
tipo di difficoltà hai avuto accostandoti al cinema americano,
a registi e a manager di Los Angeles? Come vengono scelte le musiche dei film
hollywoodiani e delle pellicole USA indipendenti?
Non
nascondo che il mio obiettivo è proprio quello di lavorare con produzioni
statunitensi che ti permettono di avere dei budget per le musiche dignitosi e
di essere coinvolti in film di varie tipologie. Capisco che riuscire a lavorare
a Hollywood vivendo in Italia è quasi impossibile, ma, con molto impegno ed un
lungo lavoro di pubbliche relazioni le possibilità aumentano. C’è solo un
aspetto del modo in cui gli americani usano le musiche nei film che non mi
convince. Loro preferiscono valorizzare gli effetti sonori a discapito della
musica. Ho visto film d’azione dove la musica sinfonica, nata per essere
ascoltata a volume alto, era missata sotto gli effetti sonori, perdendo la sua
forza. Quando avrò l’occasione di lavorare per produzioni statunitensi
importanti, lotterò per avere meno musica, ma valorizzare di più quella
esistente. Ho da poco firmato un contratto con un’agenzia inglese che spero mi
aprirà le porte del cinema britannico oltre a rappresentarmi negli Stati Uniti
e nei Paesi Europei.
Se il
regista con cui collabori è privo di conoscenze musicali non corri il rischio
di vedere depotenziato il tuo lavoro ? Se un film maker ignorante riduce tutta
la musica a “bella” o “brutta”, questo non rende difficile il dialogo col
compositore?
Si, il
rischio c’è. Bisogna dire però che a volte è meglio lavorare con un regista che
non abbia conoscenze musicali, ma abbia una certa sensibilità, che non con uno
che pensa di conoscere la musica e pretenda di darti indicazioni
sull’orchestrazione e la scelta stilistica.
Ogni
quanto tempo ti rechi negli Stati Uniti? Come fai a stabilire appuntamenti di
lavoro dall’Italia con una base estera e secondo te è possibile per un creativo
fare il pendolare da un paese all’altro o addirittura da un continente
all’altro?
Buona
domanda. Cerco di andare a Los Angeles almeno una volta all’anno. Come dicevo
prima, lavorare negli Stati Uniti vivendo in Italia è un’ impresa ardua. Ci sono
compositori come Ennio Morricone o Pino Donaggio che sono riusciti a
lavorare per vari film statunitensi ma hanno anche perso dei lavori americani
perché magari in quel momento stavano in Italia lavorando sulle musiche di un
film o una fiction italiana. Il compositore Georges Delerue, che è stato a mio avviso il compositore francese
più importante nel settore delle colonne sonore, negli ultimi anni della sua
vita si era trasferito negli Stati Uniti. Dopo aver lavorato con Francois
Truffaut per vari film, ha così avuto l’occasione di collaborare con Oliver
Stone per “Platoon” e “Salvador” e per altre importanti produzioni americane.
Nella
tua esperienza internazionale che differenze hai riscontrato tra le produzioni
italiane e quelle estere?
Il
rispetto per il lavoro svolto. Qui in Italia ho sofferto molto con alcuni
registi presuntuosi ed arroganti che non rispettavano il compositore. Ho avuto
una disavventura con un regista che stava lavorando su un film con Giancarlo
Giannini che mi ha schiavizzato per alcune settimane senza darmi alcun
compenso, chiedendo sempre più musica e modifiche in continuazione. Alla fine
era diventato un incubo ed ho rinunciato al lavoro. Negli Stati Uniti c’è più
rispetto per l’autore delle musiche e per gli altri collaboratori artistici. Ci
sono stati casi anche di illustri compositori che hanno avuto una musica
contestata o rifiutata dalla produzione ma il loro lavoro è stato comunque
retribuito. Credo che sia molto importante avere rispetto per il lavoro svolto.
Quali
sono le musiche (da film o non) che ti hanno maggiormente influenzato nel tuo
percorso artistico?
Il film
che mi ha spinto a diventare un compositore di musiche per film è stato
“Logan’s run” di Michael Anderson, un film di fantascienza poco conosciuto in
Italia. La musica, del Premio Oscar Jerry Goldsmith mi aveva colpito perché
alternava suoni elettronici molto moderni per le scene ambientate nella città
del futuro con un commento musicale invece molto tradizionale e sinfonico. Dopo aver visto tre volte il film, abbandonai
l’idea di diventare regista (avevo girato alcuni film amatoriali in Super 8) e
mi resi conto che volevo studiare musica per dedicarmi alle colonne sonore. Il
compositore classico che stimo di più per lo stile la forza espressiva è Johann
Sebastian Bach.
Cosa manca
ai produttori italiani per tentare la sfida sul mercato internazionale?
Manca
il coraggio di investire in progetti ambiziosi di largo respiro. Si tende a
ridurre sempre di più i budget dei film, rendendo i progetti quasi amatoriali.
A volte, invece, è più facile trovare finanziamenti per film internazionali ambiziosi
che non per piccoli film che non avranno mai una vera distribuzione. Tra
l’altro, la maggior parte dei produttori italiani non parla bene l’inglese. Il
mese scorso è venuto un produttore statunitense a Roma e l’ho presentato ad
alcuni registi e produttori italiani. Ho dovuto tradurre io. Su sette produttori
solo uno parlava l’inglese. A queste condizioni come si fa a costruire una
coproduzione con l’estero?
Che
consiglio daresti ai giovani musicisti che cominciano la loro carriera in
Italia?
Perseverare.
Se hanno veramente la passione per la musica e il cinema (ed hanno la capacità
di fare questo mestiere) devono darsi molto da fare. Io seguo ogni giorno il
sito IMDB e contatto nuove produzioni in continuazione. Sono in contatto con
produzioni inglesi, irlandesi, francesi, norvegesi, spagnole, tedesche, cinesi
e statunitensi.
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta...