Il vincitore
doveva essere The Master di Thomas Anderson!
Invece il premio è andato a Pietà di
Kim Ki-duk.
Sul palco della premiazione gaffe e scivoloni imbarazzanti. In conferenza stampa un
tirannico Michael Mann mette a tacere Garrone. E’ successo veramente di tutto
in questa edizione del festival.
A Venezia persino il comitato del sagra della tellina avrebbe saputo fare di meglio del superdirettore del festival Alberto Barbera e del suo strapagato e numeroso staff. Quest’anno la kermesse cinematografica è stata molto giù di tono, disertata dal pubblico e avara di storie interessanti, ma quello che ha più colpito è il retroscena della premiazione.
La
giuria aveva deciso di assegnare il
Leone d’oro a The Master, film
controverso ispirato al fondatore di Scientology. E’ partita addirittura una
telefonata da Venezia in America per avvertire il produttore e il regista della
premiazione che si sarebbe celebrata in loro onore al Lido. Ma, subito dopo, la
giuria presieduta da Michael Mann ci ha ripensato. Come ha candidamente ammesso
il regista americano “per il regolamento della Mostra, che non
permette Leone d’oro e premi agli attori, abbiamo deciso un
buon modo di premiare totalmente The
Master, con un principio di equivalenza, dando regia e attori”. Quindi il
primo grosso pasticcio è stato decretare un vincitore e poi smentirsi, per dare
a The Master come consolazione il
premio per la miglior regia. Allora, in un clima febbrile e paradossale, si è
proceduto a ripescare il film di Kim Ki Duk,
Pietà, un capolavoro assoluto e intenso, ma anche un’opera da cinefili che
avrebbe fatto storcere il naso a qualche giurato.
Durante la
cerimonia le gaffe
non sono mancate. La Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile è
andata a Philip Seymour Hoffman a pari merito con Joaquin Phoenix. Quest’ultimo
non si è degnato di venire a ritirare la coppa e sembrava che neppure Seymour
Hoffman dovesse venire. All’ultimo momento l’attore feticcio di Thomas Anderson
si è presentato sul palco senza fare neppure il red carpet con il fiatone e l’aria
annoiata di chi non avrebbe voluto esserci. Ha cercato di giustificare l’assenza
del collega ma in qualche modo ha peggiorato le cose, facendo capire che la sua
presenza lì era stata quasi fortuita. «Sono sceso cinque minuti fa dall'aereo,
non giudicate il mio vestito, mi sono appena cambiato in bagno - ha detto -
Joaquin Phoenix avrebbe voluto essere qui. Joaquin è una forza indomita e io
non ho fatto altro che cavalcare la sua forza, ma lui è indomabile». Michael
Mann e Kasia Smutniak richiamano Hoffman per consegnargli il premio speciale
della giuria, e lui torna sul palco dicendo: «Conosco Anderson da 20 anni,
siamo stati insieme in 5 film ed è un amico, è il migliore regista ed è una
fortuna per me lavorarci». Peccato però che Anderson non fosse presente sulla
scena e avesse snobbato il nostro festival. Successivamente davanti a flash e telecamere viene annunciato che il Leone d’argento è stato assegnato a Ulrich Seidl per Paradise: Glaube. Un attimo dopo una incantevole Laetitia Casta si alza e, risvegliandosi dal suo torpore di bella addormentata, grida “fermi tutti, c’è stato un errore”. Laetitia richiama sul palco Seymour Hoffman, e dice a Seidl “scambiatevi i premi, abbiamo sbagliato”. Per la concitazione a Hoffmann il leone cada per terra e la platea, più rigida di un pesce surgelato, resta a bocca aperta a vedere la pesante statua rimbalzare con un sordo tonfo...
La cerimonia per fortuna volge al termine e il leone d'oro viene dato al ripescato, Kim Ki-duk, mentre tutti si spellano le mani. Come ciliegina sulla torta, per ringraziare il pubblico, il regista vincitore intona una canzoncina coreana soporifera con cui ammorba per qualche minuto gli esterrefatti spettatori e infine alza il pugno verso i fotografi. Fine dello spettacolo.
Alla conferenza
stampa post premiazione Michael Mann spiega: “Abbiamo lavorato con grande
attenzione. Volevamo dare il Golden Lion a 18 film! Ma a Venezia non si può!”. Alla
domanda “Ma come sono stati giudicati i film italiani?” avrebbe
voluto rispondere Matteo Garrone, l’unico giurato tricolore, ma il dittatoriale
americano gli toglie la parola e afferma: “Non dovete richiedere la stessa cosa
a un singolo membro della giuria mettendolo in imbarazzo. Il processo della decisione
è privato e non intendiamo parlarne qui”.
La morale (amara) è che un bravo regista può essere anche un pessimo presidente di giuria, che dovremmo far organizzare i festival a chi li sa fare e, come al solito, l’Italia è rimasta a bocca asciutta, in fatto di esterofilia il neodirettore Barbera mostra una inquietante continuità con Müller e i produttori italiani sono venuti al Lido per prendersi un po’ di fresco e vedere il cinema estero...
Alla prossima edizione!
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