lunedì 8 ottobre 2012

IL RICORDO DI UN GRANDE ATTORE. NON UN GENERICO




Stridio di gomme, il rumore di un’auto che morde l’asfalto e poi un colpo violentissimo. Frammenti di vetro e lamiera. Sangue. Tanto sangue... In questo modo, dieci anni fa è morto un giovane attore, e con lui si è spento  il suo sogno.


 "Non vi è più un Dio che incomba, una giustizia, un fato come nella Quinta Sinfonia; la minaccia viene dagli incidenti stradali, da dighe che crollano per difetti di costruzione, dallo scoppio di fabbriche di bombe atomiche per la distrazione di un addetto ai laboratori, dall'errata regolazione di incubatrici. La nostra strada passa per questo mondo di contrattempi.”, scriveva Friedrich Dürrenmatt.
Il caso, il destino beffardo, ha giocato un ruolo importante nella morte di Angelo Giugliano a Roma. La sera del 4 ottobre del 2002 Angelo aveva scelto di riposarsi sulla sua auto, aveva parcheggiato nell’area di un distributore romano e si era steso sul sedile della Polo. Forse aveva bevuto e per prudenza aveva deciso di non guidare; o forse non sapeva dove andare e per una notte si sarà detto che poteva pure domire in macchina. Fatto sta che se  n’è andato durante il sonno, quella sera a via Tiziano, quando un’altra auto, lanciata a folle velocità da un giovane rom, l’ha urtato con violenza. Il conducente, 18enne, è scappato a bordo della vettura dell'amico con cui aveva ingaggiato la sfida spericolata. I due zingari, David Stankovik e Paule Jancovic, sarebbero stati arrestati qualche ora dopo. Per Angelo ormai non c’era nulla da fare.
Sarebbe stato un mattatore civettone o un divo timido e silenzioso? Un interprete naturalistico o un narciso al centro della scena? Ce l’avrebbe fatta oppure no? Avrebbe sfondato o sarebbe rimasto un precario della televisione? Questo non lo sapremo mai. Quel che è certo è che Angelo si dava da fare per affermarsi in un campo assai difficile. Giovane del Nord, nella capitale non se la passava molto bene e negli ultimi giorni di settembre del 2002, soldi in tasca gliene giravano pochi. Aveva lasciato la pensioncina di piazza Vittorio e quella sera, come le precedenti, a sorreggerlo in una capitale spettrale e solitaria c’era solo la forza della sua passione. Angelo era un attore nato, una di quelle persone per cui recitare è tutto. Aveva intessuto la sua vita di sogni e trovava nella mediocrità del presente lo stimolo per non arrendersi. Era in attesa della svolta che lo avrebbe sottratto per sempre da una precarietà randagia, da una stagione di speranze che esaltava e lo deprimeva al tempo stesso. A tempi alterni, come gli ingaggi e le particine televisive.
Angelo proviene da Voghera, una cittadina in cui la ricchezza portata da un industria alacre gareggia con la tipica sonnolenza della provincia, i suoi ritmi prevedibili. Diventa assicuratore, un lavoro che gli fa conoscere la sicurezza economica, ma che non appaga né il suo lato istrionico né la sua voglia di avventura. Scopertosi attore, arriva a Roma con la certezza che a Voghera di film non se ne girano. La capitale lo folgora: tutto quello che ha conosciuto prima non regge semplicemente al confronto. 
Non deve aver tardato molto a scoprire, però, che a Roma di gente come lui ce n’è tanta. Tutti in fila alle interminabili attese delle audizioni, dei provini, o di ronda nelle case di produzione, con sottobraccio il proprio book e la speranza che qualcuno che conta finalmente ti passi un copione e ti chieda di impararlo a menadito. Tutti in attesa di recitare la loro parte più importante: quella della persona di successo in quel misterioso e affascinante teatro che è la vita vera.
Ma Roma dietro la sua aria scanzonata e sorniona, dietro la sua rutilante e chiassosa apparenza, è una città spietata. E se l’è portato via, per un’assurda combinazione del destino. Per una sfida che si sono lanciate due Golf, una gara clandestina di due vetture che in alcune telefonate al 113 erano già state segnalate mentre sfrecciavano vicino corso Francia oltre i 150km/h.
Un poeta romano, Gioacchino Belli, nel suo lucido cinismo, ha scritto: “La morte sta anniscosta in ne l’orloggi. / E ggnisuno pò ddì: ddomani ancora / sentirò bbatte er mezzoggiorno d’oggi. / Cosa fa er pellegrino poverello / ne l’intraprenne un viaggio de quarc’ora? / Porta un pezzo de pane, e abbasta quello.”
Ciao, Angelo!

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