Il geniale autore de Il dramma di Orcival, Il Dossier 113 e Monsieur Lecocq reinventa il genere, dando cittadinanza artistica alla figura del poliziotto e raccontando le tecniche investigative forensi nella Parigi di fine Ottocento.
C’è chi
sostiene che il genere giallo sia nato in Francia, anche se, a volerla dire
tutta, lo rivendicano solamente al di là delle Alpi quei critici dotati di uno
stomachevole complesso di superiorità. I soliti francesi! Invero Parigi è la
città in cui sono ambientate le avventure di Dupin, l’investigatore di Poe. E
sicuramente la metropoli francese alla metà dell’Ottocento vede aumentare la
delinquenza e scomparire il suo senso di sicurezza. Nei quartieri meno ricchi,
e dunque meno vigilati, la piccolo-borghesia avverte il pericolo che tra le
masse disoccupate si annidino violenti fuorilegge. Nel 1847 il numero delle
persone condannate per reati sono 375 ogni 100.000 abitanti e nel 1868
diventano 444. Nel 1880 si contano 143 aggressioni al mese e due anni più tardi
viene vietata l’apertura dei caffè dopo mezzanotte per motivi di ordine
pubblico. Balzac stima l’esistenza di 20.000 professionisti del crimine. Le
prigioni si riempiono di ladri,
scassinatori, assassini. Sul fronte opposto Eugène-François Vidocq, spia,
falsario, avventuriero e malavitoso evaso più volte, nel 1811 è messo alla
testa della Sûreté, un servizio di polizia i cui membri sono ex criminali, e
grazie a delazioni di informatori e infiltrati ed a interrogatori brutali
ottiene numerosi arresti. Dopo le dimissioni, Vidocq pubblica le Mémoires
in cui narra intrighi e consuetudini della criminalità metropolitana in cui si
è addentrato. Le memorie conoscono un grande successo, ispirano Honoré de
Balzac e sono il testo in cui secondo molti affondano le radici della
letteratura poliziesca.
Terminate
le repressioni, dopo le rivolte della classe operaia, la Sûreté elimina la
corruzione interna e si riorganizza, diventando la polizia più efficiente al
mondo. Una stampa libera e specializzata descrive l’ascesa della delinquenza e
racconta storie di omicidi. Abbondano inchieste e reportage su fatti di cronaca
che infiammano l’opinione pubblica. Un gran numero di melodrammi si ispira a
efferati delitti. Il Boulevard de Temple è chiamato “Boulevard del crimine”.
Il
primo romanzo poliziesco della storia della letteratura trova i suoi natali in
questo clima incandescente. Nel 1866 un giornalista, Émile Gaboriau, colpito
dai racconti di Poe si misura con la narrazione estesa, prende spunto
dall’assassinio irrisolto di Cèlestine Lerouge, studia da vicino le tecniche
investigative e pubblica a puntate sul “Pays” L’affaire Lerouge. Nella
finzione l’inchiesta sul delitto della vedova Lerouge, che viveva in una
casetta della banlieu, è affidata a Gévrol, inflessibile e metodico capo
della Sûreté, funzionario ligio al dovere, e a un vecchio e funambolico signore
che vive di rendita, Tabaret, con un
talento innato nello scoprire gli indizi. A fare da spalla ai due c’è l’arrivista
Lecocq, giovane allievo di Tabaret. Dopo che la polizia fa arrestare un
innocente e Gévrol dà prova della sua ottusità, Tabaret scopre l’assassino, che
però si suicida.
Ignorato
dagli austeri lettori del “Pays”, il romanzo di appendice viene ridato alle
stampe sul quotidiano “Le Soleil” con un’adeguata valorizzazione commerciale.
Ed è, subito, un successo senza precedenti. Si noterà come un’operazione di
marketing accompagni il destino del giallo fin dal suo inizio. Poi L’affaire
Lerouge è lanciato in volume come il capostipite del “romanzo giudiziario”.
Tra le
tre figure di investigatori, riceve il maggiore gradimento dei lettori il
brillante Lecocq, che nelle opere successive assume il ruolo di protagonista,
mentre Gévrol viene ignorato e Tabaret va in pensione. Il dramma di Orcival,
Il Dossier 113, Monsieur Lecocq e La corda al collo sono
pubblicati a puntate sulla prima pagina del “Petit Journal”, che al prezzo di
cinque centesimi viene venduto perfino nelle campagne più sperdute. Ma chi è
l’eroe di questa fortunata quadrilogia, che fa raggiungere al “Petit Journal”
una tiratura di 300.000 copie?
Discendente da una famiglia ricca, costretto
alla povertà dai rovesci economici, Lecocq è stato assistente di un famoso
astronomo, il barone Moser, che ha riconosciuto in lui una mentalità criminale.
«Quando si hanno le vostre disposizioni, si diventa o un ladro o un
poliziotto!», gli ha detto il barone. E Lecocq ha fatto la sua scelta, come
ammette: «M’ha preso di diventare anch’io una provvidenza in scala ridotta
concorrente alla punizione del crimine e al trionfo dell’innocenza». Si dà alla
chimica e studia gli effetti dei veleni. Adotta una terminologia scientifica e
ama il gioco di induzioni e deduzioni. Si avvale delle tecniche che esaminano
gli insetti al microscopio, mentre il suo maestro, Tabaret, utilizza i
procedimenti di Cuvier: «Simile
in questo a quei naturalisti che, con il solo esame di due ossi, disegnano
l’animale a cui sono appartenuti».
Ma Lecocq non è un infallibile detective da poltrona. E’ una persona che può
sbagliare, ed anche uomo d’azione, uno che eccelle nell’arte del travestimento
e ha la tenacia dei furfanti descritti da Vidocq nelle sue memorie. Cattura il
criminale immedesimandosi in lui, seguendo il filo dei suoi ragionamenti. A
proposito della sua caccia all’assassino, Lecocq dice: «Mi spoglio della mia individualità e
cerco in ogni modo di rivestir la sua. Sostituisco la sua intelligenza alla
mia. Smetto d’essere l’agente della Sûreté per essere quest’uomo, chiunque sia».
Sul roman
judiciaire di cui diventa il principale esponente Gaboriau ha le idee
chiare: «Compito del lettore è quello di scoprire
l’assassino, compito dell’autore è di mettere fuori strada il lettore». A differenza del più astratto Poe, il
francese cerca una concretezza realistica e l’oggettività dell’informazione,
attinge il suo materiale dall’ambito giudiziario, mira alla denuncia sociale,
ma lavora anche sul piano emozionale, inventa intrighi movimentati e
arricchisce la detection con la rappresentazione dei vizi umani.
Nel
1906 Cecil Chesterton, in un articolo intitolato Il giallo come opera d’arte,
scrive: «nell’abilità tecnica di confezionare storie di mistero Gaboriau resta
il primo e pressoché senza rivali. I suoi misteri sono veri misteri e le sue
soluzioni sono vere soluzioni. E’ sconcertante, ma non è mai innaturale; non
lascia niente di non spiegato; non stiracchia mai le coincidenze. Il sospetto
passa naturalmente da un indiziato all’altro come farebbe nella vita
reale».
Il
limite dei romanzi è semmai il rapporto, che Gaboriau non riesce a spezzare,
con il feilleuton. Lo scrittore ricorre al vecchio repertorio di
complicazioni, coup de théatre e digressioni sentimentali per dare alle
opere maggiore estensione. Allunga forzosamente il brodo secondo il modello in
voga. Avvicinandosi alla soluzione interrompe il racconto e comincia una noiosa
seconda parte dove narra le vicende che hanno portato al delitto, poi riprende
i fili del racconto e lo conduce allo scioglimento. Oggi molti critici gli
rimproverano le fastidiose incursioni nel passato, una prosa sommaria, un
linguaggio enfatico, personaggi rigidi come marionette e un eccesso di
artificio che diluisce tediosamente l’attesa.
Il
romanzo più vivace e riuscito è senz’altro Il dramma di Orcival, dove
l’inconveniente del flashback entra nel pieno svolgimento della narrazione e
quindi viene meno avvertito dal lettore. Qui un duplice misterioso omicidio
avviene nel castello dei conti Trémorel. La polizia arresta i presunti
colpevoli, quando giunge da Parigi Lecocq e riapre il caso. Esamina le
circostanze del crimine, nota dettagli, individua i moventi e infine trova
l’uomo la cui colpevolezza giustifica tutti i dati raccolti.
Ma la
misura breve rappresenta ancora il passo ideale del giallo, contro una
letteratura ottocentesca che esalta la durata frazionando i romanzi. Si veda il
racconto di Gaboriau Il cane nero, vero e proprio pezzo di bravura.
Il
vecchio e ricco Anténor viene trovato accoltellato nella sua abitazione. Prima
di morire, ha fatto in tempo a scrivere sul muro, con il suo stesso sangue,
“Monis”. Una parola che la polizia decifra riconducendola al nome del nipote.
Il signor Monistrol, infatti, se la passa male, nel negozio di bigiotteria che
conduce con la bella moglie. L’eredità dello zio servirebbe a rimettere in
sesto le sue finanze. Il denaro, un movente vecchio come il mondo! La
testimonianza di una portinaia lo inchioda: la donna dice di aver visto
Monistrol salire le scale insieme al suo fido cane nero. E, come se non
bastasse, la moglie accusa il marito e Monistrol confessa prendendosi le sue
colpe. C’è n’è abbastanza per chiudere il caso, ma Méchinet, agente
implacabile, e il giovane studente Godeuil, sospettano del comportamento
reticente della signora Monistrol e pensano che qualcosa non quadri. In effetti
il vecchio accoltellato non avrebbe avuto la forza di tracciare cinque lettere
sul muro, e poi era mancino. Il suo estremo messaggio è stato segnato con la mano destra, come se qualcuno
avesse intinto nel sangue il dito del cadavere e inscenato la cosa. «Eravamo
egualmente sicuri che la signora Monistrol non si era mossa da casa, la sera
del delitto… ma tutto concorreva a dimostrare che lei era stata normalmente
complice del crimine, che ne era stata a conoscenza, quando addirittura non
l’avesse suggerito e preparato, e che per contro conosceva benissimo
l’assassino… Chi era dunque costui? Un uomo di cui il cane di Monistrol
obbediva come ai suoi padroni, poiché se l’era portato dietro fino ai
Batignolles… Di conseguenza, un intimo di casa Monistrol. Egli doveva odiare il
marito, poiché aveva combinato le cose in modo abilissimo affinché i sospetti
ricadessero su quel disgraziato».
La
strana coppia di investigatori, formata da un poliziotto e da un civile, arriva
alla conclusione che l’omicida è l’amante della signora Monistrol e il suo
intento è prendersi la donna, montando una macchinazione contro il marito e
accaparrandosi le ricchezze della vittima. Ma allora chi è l’uomo visto dalla
portinaia salire le scale poco prima del delitto? Non può essere che un
commesso della bigiotteria, Victor, grande amico del signor Monistrol, che
vanta una confidenza con quel diavolaccio del cane e, probabilmente, anche con
la padrona. Victor, geloso di Monistrol, non ha esitato a indossare il suo
impermeabile ed entrare camuffato nella palazzina, uccidendo il vecchio e
addossando le colpe a un innocente.
«L’indomani Monistrol fu rimesso in libertà.
Poiché il giudice istruttore gli rimproverava le sue confessioni menzognere che
avevano esposto la giustizia al rischio di commettere un terribile sbaglio, non
gli si cavò che questa ammissione:
– Amo mia moglie, volevo sacrificarmi per lei… la credevo
colpevole… Lo era, colpevole? Ci giurerei.
Lei
venne arrestata, ma fu rilasciata in seguito al processo che condannò Victor ai
lavori forzati. Il signore e la signora Monistrol tengono oggigiorno un’osteria
malfamata sul corso di Vincennes… L’eredità di loro zio è lontana; si trovano
in una spaventosa miseria».
Con
Gaboriau la figura del poliziotto entra per la prima volta nella letteratura.
Fino a quel momento disprezzato dai lettori, l’agente della Sûreté diventa un
eroe. Non è un dilettante in cerca di distrazioni, non è un superuomo che
elegge i crimini come passatempo, ma una persona in carne e ossa, un
professionista che lavora. Lecocq e Méchinet preferiscono l’indagine al
ragionamento, verificano scrupolosamente i fatti e, grazie alla loro
esperienza, al talento e alla saggezza, fanno centro. L’introduzione di un personaggio
più realistico e umile al centro della letteratura riflette il mutamento dei
costumi sociali. La polizia viene vista dal ceto medio non più come un male
necessario, ma come un’istituzione che fa regnare l’ordine, vigila sullo
scontento, sorveglia gli strati bassi della popolazione e si oppone ai
malfattori. I cittadini onesti avvertono il bisogno di essere garantiti e
conferiscono alla pubblica sicurezza uno statuto di grande prestigio.
Contemporaneamente, nasce l’antropologia criminale come disciplina che studia
la personalità del soggetto delinquente e agli apparati di polizia vengono in
aiuto gli strumenti della scientifica e della criminologia. La detective
fiction racconta i progressi di schedatura, dal servizio di antropometria
di Bertillon alla moderna dattiloscopia, l’esame delle impronte digitali, e
contribuisce a modificare la percezione dello sbirro nell’immaginario sociale,
anche se spesso gli onori tributati agli agenti e alle loro conoscenze non
corrispondono al vero. Si vedano i commenti di Edmond Locard, direttore del
Laboratorio di Polizia scientifica di Lione: «L’opera poliziesca di Gaboriau è
assai originale e insieme di una straordinaria verosimiglianza. Originale,
perché nessuno prima di lui aveva rappresentato quei tipi poi giustamente
divenuti proverbiali; verosimile, poiché né i procedimenti né le persone si
dipartono da quello che è la polizia autentica. Non dirò che i fatti che egli
racconta siano dei delitti ordinari e senza rilievo: appartengono anzi alla
specie dei drammi che appassionano e colpiscono l’opinione pubblica. Tuttavia
non sono né più strani né più complicati di molti processi moderni. (…) D’altra
parte dai romanzi di Gaboriau i poliziotti avrebbero enormemente da imparare.
Non ce n’è uno che possieda, non dico quella logica e quella sicurezza
nell’indagine, ma neanche quelle cognizioni tecniche così ignorate nella più
parte dei servizi di polizia. Non un agente francese su mille saprebbe seguire
una traccia come Lecoq».
Interessante...! Davvero un bell'articolo.
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