lunedì 11 marzo 2013

200 MILIONI DI EURO? SI’ GRAZIE. VERRANNO REGALATI A REGISTI E PRODUTTORI CINEMATOGRAFICI A PARTIRE DAL 1 LUGLIO 2013

Il decreto per l’investimento e la trasmissione dei film, salutato dalle associazioni di categoria come salvifico per l’industria dell’audiovisivo, farà piovere nelle casse dei produttori una grande quantità di soldi. 
Lo Stato assistenzialista è la risposta alla crisi strutturale del cinema italiano? Dare tanti soldi ai cinematografari serve a qualcosa? Aiuterà a rendere più esportabili i nostri film? Oppure i soliti privilegiati godranno immeritatamente di contributi pubblici?


 
 Se c’è una cosa che in Italia non ha mai funzionato, è l’assistenzialismo al cinema. Che tradotto nel linguaggio nostrano significa avere una torta da spartire in varie fette in modo che nessuno si accapigli, seguendo il criterio delle amicizie, del clientelarismo, dei favori incrociati e dei padrini politici, da parte di sedicenti produttori e di cosiddetti autori (quasi tutti rigorosamente di sinistra).
In tempi di crisi economica e di recessione il Ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, e il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Lorenzo Ornaghi, hanno creduto bene di regalare ben duecento milioni di euro alla “cricca” dell’ambiente cinematografico come ultimo atto del loro agonizzante governo, in barba al dilagare di corruzione, nepotismo e mancanza di meriti che flagellano il sistema a tutti i livelli.
La risposta ai numerosi problemi che assillano il cinema italiano è dare una pioggia di milioni a quegli stessi produttori e registi che hanno sfornato film mediocri o assai poco competitivi sul mercato internazionale. D’ora in poi RAI, MEDIASET e le altre emittenti saranno obbligate a dare il loro obolo per finanziare il cinema italiano e programmarlo nelle loro reti, non importa se in tarda serata o al mattino presto, non importa se per progetti di qualità o per idee proposte da persone inserite nel circuito.
Detto in soldoni, il pubblico televisivo dovrà sorbirsi più film italiani distribuiti nei palinsesti, anche se non sarà mai reso noto il criterio per cui è stato beneficiato un film piuttosto che un altro (come avviene in qualsiasi paese civile).
Torniamo al protezionismo in chiave autarchica, che abbiamo conosciuto durante il regime fascista. Certo, le parole “quote di investimento finanziario e di programmazione” sono molto più moderne ed eleganti e nascondono il sapore nostalgico dell’iniziativa.
Difendiamo l’industria dello spettacolo pompando dentro denaro delle emittenti pubbliche e private, in una sorta di spirale negativa che finirà per danneggiare anche le stesse reti televisive, come un virus che inoculato dal “cinema più brutto del mondo” renderà malati e brutti anche i network.
Ciò che in altri paesi può funzionare in Italia diventa un modo per accaparrarsi il finanziamento di turno. La corsa alle diligenze è già partita, quando il solo e unico modo per uscire dalla crisi sarebbe cambiare mentalità. Mi permetto di dire sommessamente che di soldi ce ne sono anche troppi per il reparto cinematografico. Mancano però criteri meritocratici di assegnazione dei finanziamenti. Se un film è brutto, è brutto e basta. Non va sostenuto finanziariamente, anche se sarà prodotto da un famoso produttore, diretto da un regista quotato e interpretato da un attore di grido. L’incompetenza e il pressappochismo di stampo italiota finora non hanno premiato. Occorre una piccola rivoluzione. Trasparenza, valore al merito ed equità nella selezione dei progetti dovrebbero essere gli imperativi di tutti i contributi statali.
Ma vediamo nel dettaglio l’osannato decreto Passera-Ornaghi.
Per quanto riguarda l'obbligo di investimento, il provvedimento stabilisce per la RAI che il 3,6% dei ricavi complessivi annui debba essere destinato a produzione, finanziamento, pre-acquisto e acquisto di opere cinematografiche italiane, mentre per le altre emittenti tale obbligo riguarda il 3,5% degli introiti netti. Per quanto riguarda l'obbligo di programmazione, il testo prevede per la RAI che sia dedicato a opere italiane l'1,3% del tempo di trasmissione per i palinsesti non tematici e il 4% di quelli tematici, mentre per le altre emittenti tale disposizione riguarda l'1% del tempo di diffusione per i palinsesti non tematici e il 3% per quelli tematici.
Naturalmente le associazioni di distributori, produttori, registi e sceneggiatori hanno applaudito all’iniziativa.
Ancora non si è formato un nuovo governo (ammesso che ci sarà) e già sono pronte a chiedere qualcos’altro, con la buona vecchia scusa che la cultura è la cultura.
Alla miopia delle categorie in questione, arroccate in posizioni di rendita, sfugge che bisogna ripartire dalle fondamenta, da una imprenditoria meno improvvisata e fragile, da storie dal respiro internazionale e da figure nuove che sappiano coniugare linguaggi più moderni e originali.
Altrimenti il vento del cambiamento che - con tutte le sue contraddizioni e la sua spinta rinnovatrice - ha investito la politica italiana prima o poi arriverà a soffiare anche sulle case di produzione e sugli Autori inseriti nel Sistema e potrebbe scuotere alle basi il vetusto mondo delle professioni e la ingessata fabbrica del cinema, ormai diventata autoreferenziale.    
 
Mi piacerebbe chiudere con i tre semplici punti che non sono in alcuna agenda italiana ma che sono emersi da un workshop dell’Ateliers du Cinéma Européen e di Israel Film Fund, una specie di programma che le migliori agenzie internazionali per il finanziamento all'industria cinematografica vorrebbero promuovere ma che le istituzioni italiane e i vari clan italici seguitano a snobbare.
1. Creare i presupposti al sostegno alla produzione di film, senza preclusione di generi, e adatti a raggiungere il più ampio pubblico internazionale.
2. Identificare nuove forme di finanziamento per ottimizzare la relazione fra distribuzione e circuito delle sale cinematografiche e per potenziare la diffusione on line dei film.
3. Riconoscere l'importanza culturale e sociale dei film e assicurare la loro diversità e personalità nel tentativo di catturare un pubblico di giovani e giovanissimi, e individuare nuove fonti di finanziamento per mettere i produttori indipendenti e gli istituti per la formazione in grado di far fronte alle proprie necessità.

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