Il Cavaliere Oscuro getta la maschera. Ho incontrato per voi uno degli autori di INSIDE BATMAN e abbiamo parlato insieme di tecnologie digitali, di super-eroi, di web-fiction e di progetti cross-mediali. E naturalmente della geniale serie mockumentary che sta scuotendo il mondo di internet. Giunta al suo terzo episodio.
INSIDE BATMAN non è solo una webserie con una messa in scena originale le cui prime puntate potete vedere su YouTube (http://www.youtube.com/user/InsideBatman). E' un mockumentary seriale, un falso documentario sulla vita di uno dei super-eroi più amati del mondo dei fumetti, del piccolo e grande schermo. INSIDE BATMAN è anche e soprattutto un esempio di "transmedia storytelling", ossia suddivisione della storia su più mezzi e su più piattaforme al fine di rendere la fruizione del contenuto una vera e propria esperienza. Attualmente infatti INSIDE BATMAN è composta, oltre che dai video messi on line, da:
- Una rete di social network che tengono in vita e spingono il progetto: Facebook (https://www.facebook.com/InsideBatman ) e Twitter (https://twitter.com/InsideBatman)
- Un blog gestito dallo stesso Batman che fa satira sociale (e quindi in linea anche con la stessa narrazione della webserie) chiamato CAVE BATTY (http://insidebatman.wordpress.com)
- Una pagina di Scoop.it utile per aggregare contenuti affini e identificare gli autori quindi come rappresentanti di un genere (http://www.scoop.it/t/inside-batman )
- Un profilo Linkedin (Il Cavaliere Oscuro) creato con lo scopo di estendere la narrazione, renderla più credibile, e allo stesso tempo trovare nuovo pubblico o nuovi interlocutori.
Bene, basta con le presentazioni e rompiamo gli indugi. Iniziamo con l'intervista.
1. Quale
è stata la genesi del progetto Inside Batman e di cosa racconta la vostra
web-serie? Avete previsto un “arco di trasformazione” per i vostri personaggi?
Inside Batman nasce da un gruppo di ragazzi con la comune
passione per il Cavaliere Oscuro e un’esperienza in Rai chiamata RAI LAB, un
laboratorio sperimentale per le risorse artistiche della Rai che ha visto
coinvolti 40 giovani tra autori, comici, conduttori, e filmaker per ben sei
mesi (da Maggio a Ottobre 2012). Quando uscì nelle sale il terzo film di Nolan,
uno dei comici di RAI LAB, Peppe Coco, cominciò ad imitare il personaggio e
spronò alcuni di noi a portare avanti un’idea, quella di creare una parodia del
Cavaliere Oscuro. Il primo risultato di quel lavoro fu una semplice sketch
comedy che girammo, ma con risultati da tutti reputati insoddisfacenti.
Volevamo andare oltre. E fu in quel momento che venne in mente l’idea di
utilizzare lo stile del falso documentario (il mockumentary) per raccontare la
storia di un Batman trasferitosi a Roma e costretto a confrontarsi con una
criminalità lontana dai sociopatici alla Joker: evasori fiscali, trasgressori
del bollo auto, politici di dubbia moralità. Il tutto, alternando momenti di
intervista diretta ai personaggi della serie con uno stile da “reportage” in
cui Batman e i suoi colleghi vengono seguiti di giorno in giorno da una troupe
audiovisiva.
Per quanto riguarda l’arco di trasformazione dei singoli
personaggi, abbiamo pensato ad una messa in scena che evidenzia i cambiamenti
già avvenuti nei personaggi stessi e quelli che sembra non avverranno mai. Mi
spiego. Temporalmente, Inside Batman si colloca due anni dopo la sconfitta di
Bane. Batman si è trasferito da poco a Roma, mentre Gordon e Blake sono venuti
nella Capitale molto prima. Il Gordon che abbiamo davanti in questa serie non è
più un commissario “casa e chiesa” con ideali e valori forti, ma un Gordon più
“corrotto”, un Gordon che si perde il distintivo che dice di amare, che scatta
in piedi per la macchinetta del caffè guasta. Batman invece, essendo appena
arrivato, non solo non viene corrotto dai mali e dai malcostumi italiani che
cerchiamo sottilmente di denunciare con Inside Batman, ma appare anche
incorruttibile, il che lo rende un personaggio sui generis all’interno del
contesto nel quale si ritrova ad agire. Non ci sembrava il caso di modificare
radicalmente archi di trasformazione di personaggi che sono già ben delineati,
abbiamo preferito la strada della “reazione” al nuovo contesto nel quale si
ritrovano inseriti.
2. Con
che mezzi avete girato le puntate di Inside Batman ed in che tempi?
3.
Scomparsi il Dr. Sartorius, mandati in pensione criminali come Joker e il
Pinguino, viene proprio da dirlo che il peggior nemico dell’Uomo Pipistrello
sia lui stesso. La vostra opera di decostruzione del "media franchise", la satira
del marchio di Batman nasconde un
rovello interiore del personaggio?
In parte.
Sicuramente la decontestualizzazione di Batman trasforma il suo giustizialismo
in estremismo, definendo in maniera piuttosto evidente delle problematiche
interiori che abbiamo anche ben delineato nella terza puntata, quando Batman si
ritrova a fare i conti con la propria psichiatra. Ma, d’altra parte la scelta
di giocare su una chiave tanto satirica quanto parodistica di Batman nasce
anche dall’obbligo di poter raccontare la storia del Cavaliere Oscuro solo in
questa chiave, visti e considerati i diritti d’autore connessi al brand. Infatti parodia e satira sono le uniche
chiavi di letture attraverso le quali è possibile mettere in piedi una fan
fiction senza scopo di lucro come la nostra e che non ci costringe, in quanto
tale, a chiedere permessi e autorizzazioni. Grazie a Dio, il diritto di satira
e il diritto di parodia connesso al diritto d’autore ci viene incontro in
questo contesto.
4. Quali
sono i registi e le opere, cinematografiche o televisive, che più vi hanno
influenzato e che hanno contribuito alla vostra formazione di sceneggiatori e
videomaker?
Siamo tutti
molto diversi in questo gruppo, ed ognuno ha avuto influenze differenti, alcune
delle quali anche diametralmente opposte le une dalle altre. Personalmente, io
rappresento io di quei figli della serialità americana, soprattutto dei
racconti in chiave ironica e parodistica alla “Modern Family” e “The Office”, e
prima di questi “Malcolm”, “Scrubs” ed “How I met your mother”, tutti modelli
di un genere comedy molto lontano dal modello italiano, e difficile forse per
la nostra stessa cultura, da mettere in scena.
5. Oggi
si fa un gran parlare di progetti cross-mediali, si insegna all’università il
ruolo di internet in un sistema “partecipativo”, ma poi, sigh, concretamente, nessun
player nel mondo dell’audiovisivo lavora su un asset tecnologico
adeguato e competitivo. Come si fa a creare modalità di racconto ancorate al
linguaggio e alle caratteristiche tecniche di ciascun medium? Quanto conta in
una narrazione polimorfa instaurare con i propri fruitori un legame più
diretto? E’ davvero così importante coinvolgere le audience a dare opinioni sul
prodotto e farle interagire con gli autori sulle diverse piattaforme?
In realtà dire che conta non basta. È assolutamente
inevitabile. Innanzitutto ci tengo a precisare un mio punto di vista. È vero, si
fa un gran parlare di progetti crossmediali, di transmedia storytelling e di
creazione di racconti esperienziali. Tuttavia la cosa non dovrebbe apparire
sorprendente per due ordini di motivi. Primo fra tutti, il fatto che questo
genere di attività non sono una novità ma sono solo state vestite di
contemporaneità. Ditemi, che differenza c’è tra un racconto crossmediale e una
trasposizione dal teatro al cinema o dal cinema alla televisione? E che
differenza c’è tra la creazione un progetto di transmedia storytelling è
l’esperienza produttiva della Marvel dalla sua nascita ai giorni nostri?
Crossmedia e transmedia altro non sono che la terminologia moderna che indica i
buon vecchi “remake” e “spin off”. Il secondo motivo invece riguarda
l’inevitabile approccio delle grandi imprese, dei grandi produttori e dei
grandi network non tanto ad un modello di racconto complesso e articolato,
quanto piuttosto ad un modello di business. Se dal film ricavo una serie tv, e
dalla serie tv creo uno spin off che va sul web, e dallo spin off estrapolo un
personaggio e lo ripropongo come gestore di un blog, e dal blog estrapolo una
parte dei suoi racconti per creare un app per smartphone scaricabile
gratuitamente (con pubblicità) o a pagamento (senza pubblicità), ho solo
raccontato una storia oppure ho anche moltiplicato il mio pubblico e i miei
introiti?
Tralasciando questi aspetti (inutili da affrontare con osservazioni o
critiche poiché assolutamente plausibili), il motivo per il quale non esistono
ancora dei veri e propri modelli partecipativi “efficaci” probabilmente attiene
all’inesperienza di saper ragionare in termini multipiattaforma. Solo
recentemente si sta assistendo alla “commistione di ruoli”, alla capacità di
saper gestire più piattaforme contemporaneamente, o comunque alla capacità di
saper approcciare a più modelli comunicativi (apripista di questo trend
sicuramente i “filmaker”, autori, registi e montatori, tutto insieme) e quindi
solo recentemente stanno nascendo professionalità in grado di sapersi muovere
su più piattaforme, in grado di sviluppare una sensibilità tale da individuare
immediatamente una storia e il suo risvolto crossmediale, perché effettivamente
“padrone” di più modelli comunicativi. Infine per quanto riguarda la questione
partecipativa… beh, che dire… era ora! Siamo davanti al definitivo abbattimento
della classe intellettuale di nicchia che si racconta quanto sono stati bravi a
fare quello che hanno fatto, a prescindere che effettivamente piaccia o meno.
La partecipazione del pubblico abbatte le barriere e crea una vicinanza che non
è mai distruttiva (perché un complimento fa sempre piacere e una critica va
vista sempre in termini costruttivi) e aumenta il grado di interesse del
pubblico perché offre loro non solo una storia ma una vera e propria
esperienza.

Cinicamente
mi viene da dire “no”. Il supereroismo appartiene ad un’altra culturale, una di
quelle che, plausibilmente o meno, sposano la causa del benessere collettivo e
si auto-investono di valori e responsabilità per il bene di tutti. La cultura
americana tenta di essere questo quando il suo supereroismo non si riflette
nella sfera degli interessi di natura capitalistica. E non è un caso quindi che
quella cultura abbia sviluppato l’immagine contemporanea dei supereroi alla
“Capitan America”, “Hulk” o “Ironman”. In Italia la nostra cultura ha
sviluppato l’eroe ridicolo, il buono ma fesso e il furbetto (da Fantozzi a
Pieraccioni passando per Alberto Sordi), da una parte, mentre dall’altra ha
dato forma (soprattutto partendo dalla cronaca) alla figura dell’eroe martire
(il Commissario Cattani per intenderci), l’uomo che aspira all’eroismo, tocca
il limite del supereroismo perché migliore degli altri uomini i qualcosa (il
più delle volte “migliore ideologicamente”) ma che poi muore, cade e scompare
per far sì che la sua forza diventi un esempio per un futuro aspirante
supereroe, che però, mi duole ammetterlo non è ancora arrivato. D’altra parte,
se è vero che siamo ancora lontani da un supereroismo italiano, dall’altro
(citando anche il nostro Batman e il Batman di Nolan) “la gente ha bisogno di
credere che la giustizia possa trionfare” e “c’è bisogno di un eroe”. Cosa
assolutamente incarnata e identificabile nel fenomeno del “Batman di Isernia”
che ha letteralmente spopolato sul web. Insomma, che dire… la speranza è
l’ultima a morire.
7. Negli
ultimi mesi si sono registrate delle timide aperture verso la web-fiction, ma
c’è ancora una grande arretratezza tecnologica da parte dei produttori e dei
network, che non hanno mai pensato di sfruttare in modo intensivo il web.
Internet è un alleato della televisione e del cinema oppure rappresenta un loro
nemico giurato? Come vi spiegate la sottovalutazione della Rete da parte delle
nostre case di produzioni? Perché c’è una bassa penetrazione del fenomeno delle
web-series (a parte rari casi di successo come Freaks)?
Internet e Tv non sono alleati, sono semplicemente due
modelli di fruizione e di esperienza mediale differente. Tra l’altro, la web/tv
da una parte e la smart/Tv dall’altra dimostrano un progressivo processo di
convergenza che porterà alla scomparsa di entrambi e alla nascita di un nuovo
modello di fruizione, misto, che non permetterà di creare alcun termine di
paragone. Tra pochissimo, chiedersi quale rapporto c’è tra l’audiovisivo
(televisivo o cinematografico) e il web
avrà lo stesso valore di chiedersi quale rapporto c’è tra un libro e la
scrittura. L’approccio delle reti televisive e delle case di produzione al
mondo del web e alle sue potenzialità dimostra solo una cosa: timore. Paura di
non essere in grado di trovare i punti di contatto tra i due modelli e di non
riuscire a capire in cosa consisterà il riposizionamento. Ma questa paura non
solo è priva di fondamento, ma anche anacronistica. Oggi se una Rete televisiva
non crea un pagina fan di Facebook del proprio programma, ci pensa un utente
appassionato. Non voler fare i conti col web significa non voler evolvere. E
Darwin è stato abbastanza chiaro sull’evoluzione… per quanto riguarda la bassa
penetrazione delle web series, beh, io non credo che sia vero. Negli ultimi
tempi in molti si stanno aprendo a questo nuovo modello di comunicazione, dai
piccoli (come noi) che si mettono in gioco, alle associazioni che organizzano festival
interamente dedicati alle web series, e persino grandi broadcaster (Rai Fiction
con “Una mamma imperfetta”) e grandi case di produzione (Magnolia con “Kubrick.
Una storia porno”) hanno provato i primi avvicinamenti. Siamo ancora comunque
in una vera e propria fase di sperimentazione, e in quanto tale è tutto da
vedere.
8. Avete
altri progetti nel cassetto?
Diversi. Ma attualmente preferiamo rimanere criptici in
merito. Il nostro primo obiettivo è quello di concludere al meglio Inside
Batman.
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