lunedì 2 dicembre 2013

Sul web c’è tanta creativita’: parola di THE USHERS

L’IMMaginario Web Fest di Perugia ha ospitato oltre 60 produzioni digitali, offrendo la più ampia rassegna italiana di webseries. The Usher si è aggiudicato il premio alla migliore webserie e quello come miglior architettura interattiva e sistema social.
Abbiamo intervistato i due autori, Chiara De Caroli e Andrea Galatà, che mostrano una grande consapevolezza nell’uso dei mezzi digitali e ci raccontano la loro esperienza di scrittori, attori e produttori di serie on line. Reduci dalla realizzazione di The Awebngers”, episodio cross over che fa incontrare i protagonisti di sette diverse web-series, Chiara e Andrea si fanno interpreti di un mondo effervescente e dinamico che supera la fase pioneristica e arriva alla sua maturità espressiva.

Un giovane sacerdote indaga su una catena di strani suicidi. La fede del prete vacilla, davanti al dolore di un tragico passato e all’enigma di persone “toccate” da qualcosa di terribile. Questo è THE USHERS, A Dark Tale of a Bright Night. 
Chiara De Caroli e Andrea Galatà - già interprete del premiatissimo lungometraggio Native -, talentuosi attori e sceneggiatori, infaticabili animatori della MabCreativeCrew, rispondono ad alcune domande sulla loro “creatura” digitale, che fonde il genere ski-fi con una storia d’autore elevandosi al di sopra di tanto provincialismo del nostro paese.    


1.         Di cosa parla la vostra web serie? Quali sono i protagonisti della vostra storia?

- Andrea/Chiara: The Ushers (letteralmente “I guardiani della porta”) è uno sci-fi, che attraverso il linguaggio fantasy/thriller cerca di approfondire il percorso che ogni essere umano intraprende all’interno di se stesso per affrontare I propri mostri, le proprie paure, il proprio passato e I propri talenti/poteri, senza esserne sopraffatto, fino a riconoscere la propria “porta”.
Così la nostra web series è un giallo internazionale che racconta di Padre Damien, giovane sacerdote la cui fede verrà mesa alla prova dagli inspiegabili eventi che lo coinvolgeranno e che sono legati al padre Edgar; quest’ultimo è un investigatore che sembra aver perduto se stesso nella sua stessa ricerca. Poi c’è Maria, il cui forte desiderio di maternità si è tramutato in un potere terribile, Jun, che indaga sullo strano suicidio della sorella ed Enno, che riesce a prevedere il futuro, ma ha perduto la memoria. E’ una storia corale in cui incontriamo tanti personaggi e tanti personaggi si incontrano, sviluppando rapporti paralleli alla storia “madre”


2.         Come è nata l’idea di The Ushers e quanto tempo avete impiegato per scrivere gli episodi?

- Andrea/Chiara: Volevamo affrontare il linguaggio fantasy/thriller attraverso i simboli. Così siamo partiti da una sceneggiatura “esoterica” per così dire. Poi quei simboli sono diventati nomi, situazioni, luoghi geografici e trasformazioni.
L’idea è nata con il contatto di una produzione che sembrava interessata a finanziare un progetto molto ambizioso. All’inizio abbiamo impiegato poco meno di due mesi a scrivere, girare e consegnare ben 6 episodi. Un inferno!
Poi come se non bastasse ci siamo ritrovati da soli e abbiamo dovuto prendere una decisione importante. Abbiamo deciso di andare avanti, ma sembrava una missione impossibile portare a termine un progetto del genere con l’autoproduzione.


3.         Per la vostra storia corale e con diverse ambientazioni sono state effettuate riprese in Inghilterra, Giappone, Olanda, Germania, Italia, Spagna, USA e Zambia. Che tipo di difficoltà avete incontrato nella realizzazione di un prodotto così complesso?

- Andrea: Ero convinto di non farcela, ma prima di arrendermi dovevo fare un tentativo. Allora mi sono dovuto inventare un sistema di regia a distanza che si integrasse con i viaggi, pochi, dei protagonisti. E qui è avvenuta la vera magia. Anzi le due vere magie. La prima è stata scoprire che il sistema funzionava perfettamente. Bastava rispettare davvero il lavoro e il tempo di tutti, cosa rarissima oggi. Mi spiego meglio: contattavo i miei colleghi in giro per il mondo ed inviavo la sceneggiatura con le indicazioni specifiche di ciò che mi serviva. Poi chiedevo loro cosa avevano davvero piacere di fare all’interno del progetto. A quel punto con Chiara riscrivevamo l’intera sceneggiatura per accogliere le loro proposte, pur mantenendo una struttura. Ho contattato solo bravi professionisti, per cui le loro proposte erano sempre un valore aggiunto e mai fuori luogo. Perciò non ho mai detto di no a nessuno, guadagnandoci. Il secondo inatteso miracolo è stato ritrovarmi dentro un laboratorio di linguaggi e di poetiche così diverse tra loro, con il compito arduo ma incredibilmente stimolante di trovare un comune denominatore.

-Chiara: oggi non saremmo qui a parlare di The Ushers se non fosse stato per la volontà inflessibile di Andrea di portare a termine questo progetto impossibile per rispetto nei confronti di tutta la squadra che aveva deciso di fidarsi e “affidarsi” a lui. È stato un lavoro immane, ma adesso che è finita non posso che guardare a quei giorni con gioia e stupore. Abbiamo lavorato a ritmi surreali, e se oggi qualcuno mi chiedesse come facevamo a farci venire le idee che poi sviluppavamo a tempo record beh, io non saprei cosa rispondere. Eravamo in un flusso continuo che, fortunatamente, anziché travolgerci si è rivelato un viaggio adrenalinico incredibile.


4.         The Ushers affronta tematiche e atmosfere che oggi molti film mettono al centro delle loro storie. Che cosa ne pensate dell’esoterismo come tendenza del racconto moderno? 

- Andrea: L’uomo non ha bisogno di simboli, perché li possiede già. Ha semmai bisogno di meditarvi.
Il simbolo e l’archetipo si perdono nella notte dei tempi. Tutti abbiamo dentro certi simboli. Perciò mi piace molto inserire all’interno di una sceneggiatura fatta di personaggi umani e luoghi reali, dei riferimenti simbolici che rinforzino la storia. Mi piace insomma cercare di parlare al conscio, ma anche al subconscio dello spettatore, e ovviamente, al cuore.

-Chiara: io credo che, se guardi bene, tutti gli esseri umani siano in qualche modo accomunati da un “sentire” comune, di cui il simbolo è la rappresentazione fisica, perché l’uomo ha bisogno di rappresentazioni concrete e finite per non perdersi. Noi abbiamo cercato di farne la nostra chiave di lettura, e soprattutto di averne profondo rispetto. Personalmente, non amo i film “di genere” che per fare rumore si abbandonano a cliché poco attenti e superficiali. Ci siamo rifatti alle nostre radici anche per non cadere nel rischio di scimmiottare gli sci-fi all’americana, raccontando attraverso i nostri simboli un aspetto dell’animo umano.

5.         E’ stato difficile adeguarvi al formato delle web-series? Che differenze esistono tra l’estetica digitale e il linguaggio cinematografico e televisivo?

Andrea: Sì, è stato difficile. E lo è ogni giorno, ma è così stimolante! E’ un linguaggio che si evolve continuamente. Sul web va tutto più veloce e c’è tanta creatività. Non rinuncerò mai al buon cinema ed al buon teatro, ma credo che in questo momento gli artisti web siano il vero traino culturale. TV e web sembrano due pianeti completamente diversi: nella prima si vedono prodotti spesso costosissimi, sempre uguali, troppo spesso scadenti e poco seguiti dai giovani. Dall’altra parte, sul web, si trovano prodotti spesso a budget zero, spesso molto innovativi e con un grande seguito. Nel mondo della cultura si è finalmente alzato un bel vento, ed è in wi-fi.

-Chiara: Credo che il web, in questo momento, rappresenti un mondo libero non solo per i creativi che ne producono i contenuti, ma anche e soprattutto per il pubblico. In qualsiasi momento c’è un’offerta varia, continua, fluida, che segue i ritmi dello spettatore e che è, in qualche modo, al suo servizio.

6.         Il numero delle visualizzazioni di un prodotto è garanzia di qualità? Secondo voi esistono modi per contraffare le views di una web fiction? Quanto influisce il marketing sulla visibilità di un prodotto? 

- Andrea: Bisogna pensare a delle reali strategie per ogni prodotto. Contraffare le views è molto semplice e inutilmente autoreferenziale. Io credo che in futuro conterà sempre più avere una solida fan base. E quella è la garanzia che il tuo prodotto piace e sai comunicarlo. Il web ci sta insegnando anche che non è vero che il pubblico è stupido. I prodotti migliori trovano sempre la propria fan base.

-Chiara: la “contraffazione” della notizia come strategia di marketing non è una novità del web, è sempre esistita e, sempre, il pubblico se ne accorge. Faccio un esempio: avete presente quelle pubblicità camuffate da articoli che spesso troviamo anche su quotidiani di un certo spessore?
Il “creativo” di turno è convinto di aver fregato i potenziali clienti, che leggendo una cosa che “sembra” un articolo, ne rimarranno colpiti, mentre se si imbattessero nell’ennesima inserzione girerebbero immediatamente pagina.
Ecco, la verità è che il pubblico se ne accorge, e quei finti articoli li chiama “marchette”, mentre tu, genio creativo, hai speso del denaro mal investito e rimediato una figuraccia. Credo che, semplicemente, chi strizza l’occhio a questo tipo di pratiche dovrebbe imparare che il pubblico non è stupido, e riflettere sulla propria presunta furbizia.

7.         Cosa significa essere attori, sceneggiatori, registi e produttori nello stesso tempo? Sovrapporre i diversi ruoli non comporta un grosso dispendio di energie?

- Andrea: Sì, enorme. Infatti la maggior parte degli artisti web, stremati dall’esperienza della prima web series e dalla mancanza di mercato, non proseguono con nuove stagioni. Essere filmmaker è una grande opportunità creativa, ma io, potendo scegliere, preferisco lavorare in team e suddividere I reparti. Altrimenti ciò che succede è che ogni prodotto avrà dei reparti che funzionano di più e degli altri meno, perché è davvero raro che un filmmaker eccella in ogni ambito. Se ognuno facesse il lavoro che sa fare sarebbe meglio e ci sarebbe meno confusione, meno stress e più qualità.

-Chiara: non solo sono d’accordo con Andrea, ma ti dirò di più: io mi diverto da morire ad imparare cose nuove, a sperimentare, a “rubare il mestiere”. Ma per farlo ho bisogno che a fianco a me ci sia qualcuno che quel mestiere lo conosce, altrimenti mi troverò sempre con la frustrazione di aver fatto una cosa mediocre. Anche perché dobbiamo uscire dal nido e affrontare il fatto che non ci sono giustificazioni: se il mio prodotto ha delle pecche, è inutile mettere le mani avanti e giustificarsi, perché al pubblico giustamente non interessa che problemi avessi io e perché non li ho risolti, al pubblico interessa il prodotto finito. Ed ha ragione, perché è il nostro prodotto ad essere al servizio del pubblico, non il contrario.

8.         Nella vostra attività di film maker avete dei punti di riferimento, “maestri” o opere che hanno influenzato il vostro approccio all’audiovisivo?

- Andrea: Faccio l’attore fin da ragazzino e sono cresciuto con il mito di Al Pacino, ho sognato negli anni 80 grazie a Spielberg e Lucas e poi ho cominciato ad affinare il palato e a darmi arie da intellettuale guardando I capolavori senza tempo di Fritz Lang, Truffaut, Chaplin, Fellini, Herzog, fino ai più moderni Milos Forman, Lars Von Trier e i Cohen. Ma la verità è che oggi, se cerco ispirazione, guardo una web series. Poi esco e vado al cinema o a teatro.

-Chiara: da quando ho visto Breaking Bad non mi ricordo più nulla di ciò che mi piaceva prima, chiedo scusa!

9.         La comunità della web-series si sta infoltendo sempre di più, con un clima partecipativo e di scambi reciproci. Non sentite il bisogno di riunire gli autori in un’associazione e di stilare una sorta di “carta d’identità” della web-fiction? 

- Andrea: visto che mi hai già fatto la domanda su come ho realizzato la mia serie, immaginerai cosa penso io dell’importanza del saper lavorare in team.
Da soli non si va da nessuna parte, e ci si diverte poco. Bisogna vincere la paura ed essere inclusivi. Sempre.
Il momento storico italiano non è molto confortante a tal proposito. L’Italia è piena di sindacati e movimenti. Ce ne sono decine di migliaia molto ben strutturati e ben partecipati, che malgrado ciò riescono a concludere poco. Abbiamo assistito persino a manifestazioni che superavano il milione di partecipanti, che hanno portato al nulla di fatto. Ma bisogna provarci lo stesso, bisogna provarci sempre, non bisogna arrendersi mai. E’ troppo bello mettere parte del proprio tempo e della propria intelligenza a favore di progetti collettivi. Ed è un dovere civico.
A tal proposito vorrei segnalare il neonato gruppo WAU (Web Artists United), nato come gruppo facebook fondato da Michele Pinto, presentato poi a Perugia con Gianluca Giardi e altri amici, con la vocazione di raccogliere istanze e idee dei web artist e promuovere iniziative comuni. A tal proposito, un primo esperimento di collaborazione è stato “The Awebngers”, episodio cross over, scritto per far incontrare i protagonisti di 7 web series in una comune divertente avventura. E’ stato un modo giocoso per cominciare a lavorare insieme. Adesso spero che ognuno continui a proporre progetti e idee e che trovi grande partecipazione, verso obiettivi comuni sia artistici che di definizione e tutela di una nuova categoria. La nostra.

-Chiara: senza un gruppo solido, reale, concreto, non c’è riconoscimento, identità e men che mai tutela. La nostra storia, come ricordava giustamente Andrea, ha mostrato che fare le cose insieme non solo è possibile, ma funziona, perché quando delle persone si uniscono il risultato non è pari alla somma algebrica dei singoli, è infinitamente di più. Certo, non è semplice, e per questo ci piace pensare a The Ushers come ad un esperimento sociologico e “politico”, che ha mostrato come, se c’è l’impegno ad arrivare insieme all’obiettivo comune, con la duplice attenzione al rispetto dei singoli componenti della squadra e, contemporaneamente, all’interesse collettivo, le cose riescono anche quando sembravano impossibili. E ci tengo ad aggiungere che tutto questo è stato possibile solo perché Andrea si è preso in carico l’enorme responsabilità di coordinare tutti, come un direttore d’orchestra, valorizzando i singoli e fluidificando la storia complessiva perché fosse “accogliente” verso i loro eventuali desideri. Gruppo è libertà partecipativa e rispetto, tutto il resto mi convince poco.

10.       Siete reduci dalla partecipazione al Festival IMMaginario che vi ha eletto vincitori in ben due categorie e avete esperienze anche di altri festival dedicati alle web-series. Dunque ormai siete dei “veterani”. Cosa ne pensate di queste manifestazioni? Che consigli vi sentite di dare ai loro organizzatori?

- Andrea: Il Festival di Perugia ci ha dato il premio più importante: ha creato spazi di ascolto e di condivisione con gli altri web artist. Un Festival che vuole davvero bene ai partecipanti fa così. Si preoccupa di essere vettore e propulsore di idee. Siamo felicissimi dei prestigiosi riconoscimenti, ma la riuscita di un Festival, secondo me, si misura quantificando la circolazione di idee che ha permesso e non i premi che ha assegnato.

-Chiara: Perugia è candidata ad essere la prossima Capitale della Cultura, e mai riconoscimento mi è sembrato più appropriato. I premi che ci hanno dato sono stati il coronamento di due giorni che sarebbero stati comunque splendidi, perché quando un concorso è fatto bene, anche se non si può vincere tutti, si può fare in modo che nessuno sia perdente. Il premio all’architettura interattiva e comunicazione social mostra l’attenzione per l’identità della nostra serie da parte di IMMaginario, quindi ancora più gradito, come i regali che si vede sono stati fatti con cura e attenzione. Per quanto riguarda il premio come Miglior Webseries beh, i nostri concorrenti erano tanti e c’erano davvero delle belle cose, non ci stanchiamo mai di dirlo ogni volta che ne abbiamo occasione: e questo è un valore aggiunto, perché sono anche loro a dare valore a questo riconoscimento.





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