Al Kino il titolare della Wildside, Lorenzo Mieli, ripercorre
la storia della propria società e racconta il suo approccio non convenzionale al
mondo dell’audiovisivo.
Accanto alla produzione di X Factor, dopo 1992, con progetti più arditi come Limonov e Il giovane Papa,
Mieli si conferma abile interprete di un periodo effervescente e magmatico che sta
vivendo il nostro paese e che culminerà con l’arrivo di Netflix.
Confesso la mia delusione
per la lunga testimonianza di Lorenzo Mieli presso il Kino. Nella mia ingenuità
ho sempre pensato che le idee nascessero dalla curiosità e che le narrazioni -
in qualsiasi formato – costituissero un modo per conoscere se stessi ma anche
per capire gli altri.
Da qui la profonda delusione quando uno dei produttori
italiani, almeno sulla carta, più innovativi e coraggiosi, Lorenzo Mieli, ha
confidato di non cercare idee altrui ma di fidarsi solo del suo intuito. Alla
Wildside, casa di produzione cinematografica fondata nel 2009 assieme a Brizzi,
Martani, Gianani e Costanzo, le idee nascono in primo luogo nelle menti dei
produttori. Quello che un manager cerca è effettivamente chi sviluppa le proprie
idee, la persona adatta a far decollare il proprio progetto, da individuare
rigorosamente nella cerchia di collaudati e stimati professionisti. “Adesso a
chi facciamo scrivere questo progetto?” è la domanda fondamentale che si pone
ogni volta un producer, ha scherzosamente chiosato Mieli.
Al nutrito pubblico
che affollava la saletta del Kino il figlio dell’ex direttore del Corrierone ha
spiegato che non ama selezionare idee altrui e, se proprio costretto, preferisce
leggere una sceneggiatura completa. Secondo Mieli il pitching, in quanto fase
iniziale di gestazione, non definisce bene l’idea, non è utile per valutare le reali
potenzialità di un prodotto e rende ambigua la paternità dell’opera compiuta.
DA BORIS A X FACTOR
Laurea in filosofia,
ex regista di spot, figlio del presidente della RCS, Lorenzo ha capito da
giovanissimo che il set non era per lui e dunque ha abbandonato la regia. Nel 2001
ha fondato la Wilder (il cui nome prende spunto da Billy Wilder, genio
eclettico che ha saputo raccontare storie in ogni genere) e realizzato
programmi e fiction di successo. Nel 2007 una quota di maggioranza della Wilder
è stata acquistata dalla Fox International Channels.
Nel ripercorrere la
sua ascesa nell’universo televisivo e cinematografico, Lorenzo Mieli si è
soffermato sull’esperienza di Boris,
in cui un affiatato team creativo soprattutto nelle prime due stagioni in un
clima gioiosamente autarchico è riuscito a dare vita ad un prodotto innovativo
e di grande rottura. Mieli ha ricordato che un’ora televisiva veniva pagata
solo 75.000 euro e il budget ridotto della Fox non ha posto limiti all’inventiva
della serie.
Qui Mieli fa una breve
parentesi sul ruolo del producer. Confessa di non amare affatto il set e
di frequentarlo poco perché quando si gira il ruolo del produttore è marginale,
non ha l’incisività del regista e in ultimo deve subire una lentezza
esasperante propria di ogni allestimento scenico.
Nel 2010 Mieli è stato
chiamato a dirigere come amministratore delegato la FremantleMedia, gruppo
internazionale di proprietà tedesca. Mieli ha cercato di non snaturare i contenuti
della Fremantle e di trovare qualcosa che lo facesse innamorare di tali contenuti,
per quanto lontani dal suo mondo autoriale e produttivo.
Oggi Fremantle ha un
fatturato di 40 milioni ed è nota per show come Italia’s Got Talent e X
Factor. A proposito di quest’ultimo, Mieli rimpiange il fatto che Morgan
non sia andato via dal programma nella stagione che si è conclusa, perché dal
punto di vista narrativo sarebbe stata la migliore uscita di scena. Morgan è un
grandissimo personaggio televisivo in quanto odia la televisione. Non c’è cosa più
feconda per uno show che tenere inchiodato dentro la gabbia della tv una
persona che detesta i meccanismi televisivi. Il ritorno di Morgan a X Factor dopo l’abbandono annunciato è
stato abbastanza triste, confessa Mieli.
UN PREMIO OSCAR ALLA CORTE DELLA HBO
Nel mondo italiano
dell'entertainment Lorenzo Mieli è conosciuto per X Factor, ma sul piano internazionale il suo nome è legato ad un
progetto decisamente diverso. Con la Wilder sta infatti realizzando la fiction The young Pope. La sceneggiatura delle
otto puntate da 50 minuti è stata portata a termine da Paolo Sorrentino, Stefano
Rulli, Umberto Contarello e un autore inglese.
Dopo aver riportato la
statuetta dell’Oscar in Italia, il regista napoletano si cimenta in una serie
tv che racconta il Vaticano dall’interno, provando a guardare oltre la cornice
degli scandali e dei misteri, affrontando uomini e le donne
che vivono in quel piccolo Stato.
Mieli racconta che Il giovane Papa è un tentativo nostrano
di uscire dal minimalismo per raccontare “una grande storia”. Quando è volato
negli USA per proporre la serie alla HBO, i dirigenti di Los Angeles sono
rimasti un po’ stupiti e forse delusi per il fatto che il papa della serie, Belardo,
fosse un pontefice italo-americano e non di nazionalità italiana.
LA NUOVA SERIALITA’
Dopo una acerrima
battaglia, Mieli è riuscito ad aggiudicarsi i diritti di Limonov, romanzo-saggio di grandissimo fascino e best-seller
internazionale scritto da Emmanuel Carrère, uno dei libri più belli degli ultimi
anni. Gigante del bene e del male, Eduard Limonov è una figura complessa che
unisce in sé prodezze e nefandezze e le cui avventure avrebbero dovuto essere
narrate in un lungometraggio cinematografico da Saverio Costanzo, che si era
innamorato del personaggio. Ma dopo aver studiato attentamente il progetto,
Mieli ha deciso di farne una lunga serialità, proprio per le caratteristiche
epiche della storia ed il suo ampio respiro. Difficile da condensare in 90/100
minuti.
Per Mieli è in atto
una rivoluzione che spingerà produttori e creativi a uscire fuori dai vecchi
steccati di formato e dai classici circuiti distributivi. Oggi si tratta
semplicemente di considerare le potenzialità di una storia. Se quella storia
funziona, non importa l’ampiezza e la pezzatura. A seconda dello sviluppo del
plot si stabilirà di farne una serie tv, una serialità per una piattaforma
digitale, oppure un lungometraggio per il cinema, che in seconda istanza potrà
essere distribuito on line. E’ decisivo avere un approccio multilaterale e non
ragionare più con schemi obsoleti che contrappongono la tv alle sale e a
internet. In definitiva esistono le storie, e dopo si pensa al loro
sfruttamento commerciale che deve essere ricco e variegato.
Vera e propria fucina
di idee, Mieli ha convinto Saverio Costanzo a mettersi dietro la macchina da
presa per gli episodi di In treatment,
adattamento di una serie israeliana, ha poi realizzato una serie originale su
Tangentopoli, 1992, per la regia di
Giuseppe Gagliardi, e ora ha in cantiere una serie per la Rai diretta da
Francesca Archibugi e un’altra da Pif, puntando sempre a prodotti di grande
qualità. «Adesso l’Italia ha cambiato passo ed è guardata bene dai mercati internazionali»,
spiega.
Un capitolo a parte
merita la documentaristica, che all’estero ha un suo segmento di pubblico e una
propria vitalità. La Wildside ha prodotto In
fabbrica (2007), di Francesca Comencini, Auschwitz 2006 di Saverio Costanzo, Vittime di Giovanna Gagliardo, Come
mio padre di Stefano Mordini, e 1960
di Gabriele Salvatores, ma resta fortemente interessata al filone dei
documentari che hanno un loro bacino di utenza europeo e mondiale.
La globalizzazione
chiama i produttori a una grande sfida. Nel mondo si consumano sempre più
storie e ovunque c’è fame di racconti appassionanti e coinvolgenti, veri o
fittizi che siano. Le società audiovisive italiane devono riscoprire i mercati
esteri e non pensare solo al serbatoio locale.
D’altronde segnali di
discontinuità nella percezione del prodotto italiano all’estero non mancano e
punti di rottura sono stati il premio Oscar a Sorrentino e la vendita di Gomorra in tutto il mondo. Fattori
determinanti che portano una ventata di aria fresca dopo anni di chiusura
asfittica. Approfittando del momento positivo, occorre uscire dai confini del
paese ed esportare storie. Potranno diventare un documentario creativo, un
film, una lunga serialità per la pay tv o una fiction per una piattaforma
digitale, non importa, ma è il momento di considerare alla nostra portata i
mercati internazionali.
Una occasione
imperdibile ci sarà offerta nell’immediato futuro. La novità della prossima
stagione sarà lo sbarco in Italia di Netflix. Voci di mercato danno per certo
l’accordo del gigante statunitense con Telecom e l’inizio della messa in onda
tra dicembre 2015 e gennaio 2016.
Per Mieli grazie a
Netflix ci sarà spazio sia per il prodotto localistico, con caratteristiche
italiane riconoscibili (che tanto piacciono all’estero), sia per il prodotto di
tipo internazionale che si faccia apprezzare per la propria universalità.
In arrivo dunque un
cambiamento epocale, che forse spingerà l’Italia a dotarsi di una agenda
digitale e costringerà la concorrenza a trasformarsi in modo radicale oppure a
soccombere.
Ricordo che Netflix
dispone di un catalogo amplissimo, di circa 8 mila titoli, e i suoi prodotti di
streaming on demand comportano per l’utente una spesa tutto sommato modesta (l’offerta
base è di 9 dollari al mese). Resta da capire se Sky e soprattutto Mediaset
sapranno reggere un vero competitor che in Italia non è mai esistito. Di qui le
indiscrezioni di una possibile fusione Sky-Mediaset o di una eventuale cessione
del Biscione da parte di un Berlusconi politicamente azzoppato.
Mi auguro che Sorrentino
possa avere successo e nuovi prodotti italiani circolino con maggiore libertà.
Che la banda larga sia con te, Netflix!
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