domenica 1 febbraio 2015

L’ITALIA AI TEMPI DI NETFLIX. HABEMUS UN NUOVO PAPA (DELL’AUDIOVISIVO)

Al Kino il titolare della Wildside, Lorenzo Mieli, ripercorre la storia della propria società e racconta il suo approccio non convenzionale al mondo dell’audiovisivo. 
Accanto alla produzione di X Factor, dopo 1992, con progetti più arditi come Limonov e Il giovane Papa, Mieli si conferma abile interprete di un periodo effervescente e magmatico che sta vivendo il nostro paese e che culminerà con l’arrivo di Netflix.        

Confesso la mia delusione per la lunga testimonianza di Lorenzo Mieli presso il Kino. Nella mia ingenuità ho sempre pensato che le idee nascessero dalla curiosità e che le narrazioni - in qualsiasi formato – costituissero un modo per conoscere se stessi ma anche per capire gli altri. 
Da qui la profonda delusione quando uno dei produttori italiani, almeno sulla carta, più innovativi e coraggiosi, Lorenzo Mieli, ha confidato di non cercare idee altrui ma di fidarsi solo del suo intuito. Alla Wildside, casa di produzione cinematografica fondata nel 2009 assieme a Brizzi, Martani, Gianani e Costanzo, le idee nascono in primo luogo nelle menti dei produttori. Quello che un manager cerca è effettivamente chi sviluppa le proprie idee, la persona adatta a far decollare il proprio progetto, da individuare rigorosamente nella cerchia di collaudati e stimati professionisti. “Adesso a chi facciamo scrivere questo progetto?” è la domanda fondamentale che si pone ogni volta un producer, ha scherzosamente chiosato Mieli.
Al nutrito pubblico che affollava la saletta del Kino il figlio dell’ex direttore del Corrierone ha spiegato che non ama selezionare idee altrui e, se proprio costretto, preferisce leggere una sceneggiatura completa. Secondo Mieli il pitching, in quanto fase iniziale di gestazione, non definisce bene l’idea, non è utile per valutare le reali potenzialità di un prodotto e rende ambigua la paternità dell’opera compiuta.

DA BORIS A X FACTOR
Laurea in filosofia, ex regista di spot, figlio del presidente della RCS, Lorenzo ha capito da giovanissimo che il set non era per lui e dunque ha abbandonato la regia. Nel 2001 ha fondato la Wilder (il cui nome prende spunto da Billy Wilder, genio eclettico che ha saputo raccontare storie in ogni genere) e realizzato programmi e fiction di successo. Nel 2007 una quota di maggioranza della Wilder è stata acquistata dalla Fox International Channels.
Nel ripercorrere la sua ascesa nell’universo televisivo e cinematografico, Lorenzo Mieli si è soffermato sull’esperienza di Boris, in cui un affiatato team creativo soprattutto nelle prime due stagioni in un clima gioiosamente autarchico è riuscito a dare vita ad un prodotto innovativo e di grande rottura. Mieli ha ricordato che un’ora televisiva veniva pagata solo 75.000 euro e il budget ridotto della Fox non ha posto limiti all’inventiva della serie.
Qui Mieli fa una breve parentesi sul ruolo del producer. Confessa di non amare affatto il set e di frequentarlo poco perché quando si gira il ruolo del produttore è marginale, non ha l’incisività del regista e in ultimo deve subire una lentezza esasperante propria di ogni allestimento scenico.   
Nel 2010 Mieli è stato chiamato a dirigere come amministratore delegato la FremantleMedia, gruppo internazionale di proprietà tedesca. Mieli ha cercato di non snaturare i contenuti della Fremantle e di trovare qualcosa che lo facesse innamorare di tali contenuti, per quanto lontani dal suo mondo autoriale e produttivo.
Oggi Fremantle ha un fatturato di 40 milioni ed è nota per show come Italia’s Got Talent e X Factor. A proposito di quest’ultimo, Mieli rimpiange il fatto che Morgan non sia andato via dal programma nella stagione che si è conclusa, perché dal punto di vista narrativo sarebbe stata la migliore uscita di scena. Morgan è un grandissimo personaggio televisivo in quanto odia la televisione. Non c’è cosa più feconda per uno show che tenere inchiodato dentro la gabbia della tv una persona che detesta i meccanismi televisivi. Il ritorno di Morgan a X Factor dopo l’abbandono annunciato è stato abbastanza triste, confessa Mieli.    

UN PREMIO OSCAR ALLA CORTE DELLA HBO     
Nel mondo italiano dell'entertainment Lorenzo Mieli è conosciuto per X Factor, ma sul piano internazionale il suo nome è legato ad un progetto decisamente diverso. Con la Wilder sta infatti realizzando la fiction The young Pope. La sceneggiatura delle otto puntate da 50 minuti è stata portata a termine da Paolo Sorrentino, Stefano Rulli, Umberto Contarello e un autore inglese.
Dopo aver riportato la statuetta dell’Oscar in Italia, il regista napoletano si cimenta in una serie tv che racconta il Vaticano dall’interno, provando a guardare oltre la cornice degli scandali e dei misteri, affrontando uomini e le donne che vivono in quel piccolo Stato.
Mieli racconta che Il giovane Papa è un tentativo nostrano di uscire dal minimalismo per raccontare “una grande storia”. Quando è volato negli USA per proporre la serie alla HBO, i dirigenti di Los Angeles sono rimasti un po’ stupiti e forse delusi per il fatto che il papa della serie, Belardo, fosse un pontefice italo-americano e non di nazionalità italiana.  

LA NUOVA SERIALITA’
Dopo una acerrima battaglia, Mieli è riuscito ad aggiudicarsi i diritti di Limonov, romanzo-saggio di grandissimo fascino e best-seller internazionale scritto da Emmanuel Carrère, uno dei libri più belli degli ultimi anni. Gigante del bene e del male, Eduard Limonov è una figura complessa che unisce in sé prodezze e nefandezze e le cui avventure avrebbero dovuto essere narrate in un lungometraggio cinematografico da Saverio Costanzo, che si era innamorato del personaggio. Ma dopo aver studiato attentamente il progetto, Mieli ha deciso di farne una lunga serialità, proprio per le caratteristiche epiche della storia ed il suo ampio respiro. Difficile da condensare in 90/100 minuti.
Per Mieli è in atto una rivoluzione che spingerà produttori e creativi a uscire fuori dai vecchi steccati di formato e dai classici circuiti distributivi. Oggi si tratta semplicemente di considerare le potenzialità di una storia. Se quella storia funziona, non importa l’ampiezza e la pezzatura. A seconda dello sviluppo del plot si stabilirà di farne una serie tv, una serialità per una piattaforma digitale, oppure un lungometraggio per il cinema, che in seconda istanza potrà essere distribuito on line. E’ decisivo avere un approccio multilaterale e non ragionare più con schemi obsoleti che contrappongono la tv alle sale e a internet. In definitiva esistono le storie, e dopo si pensa al loro sfruttamento commerciale che deve essere ricco e variegato.

Vera e propria fucina di idee, Mieli ha convinto Saverio Costanzo a mettersi dietro la macchina da presa per gli episodi di In treatment, adattamento di una serie israeliana, ha poi realizzato una serie originale su Tangentopoli, 1992, per la regia di Giuseppe Gagliardi, e ora ha in cantiere una serie per la Rai diretta da Francesca Archibugi e un’altra da Pif, puntando sempre a prodotti di grande qualità. «Adesso l’Italia ha cambiato passo ed è guardata bene dai mercati internazionali», spiega.
Un capitolo a parte merita la documentaristica, che all’estero ha un suo segmento di pubblico e una propria vitalità. La Wildside ha prodotto In fabbrica (2007), di Francesca Comencini, Auschwitz 2006 di Saverio Costanzo, Vittime di Giovanna Gagliardo, Come mio padre di Stefano Mordini, e 1960 di Gabriele Salvatores, ma resta fortemente interessata al filone dei documentari che hanno un loro bacino di utenza europeo e mondiale.
La globalizzazione chiama i produttori a una grande sfida. Nel mondo si consumano sempre più storie e ovunque c’è fame di racconti appassionanti e coinvolgenti, veri o fittizi che siano. Le società audiovisive italiane devono riscoprire i mercati esteri e non pensare solo al serbatoio locale.
D’altronde segnali di discontinuità nella percezione del prodotto italiano all’estero non mancano e punti di rottura sono stati il premio Oscar a Sorrentino e la vendita di Gomorra in tutto il mondo. Fattori determinanti che portano una ventata di aria fresca dopo anni di chiusura asfittica. Approfittando del momento positivo, occorre uscire dai confini del paese ed esportare storie. Potranno diventare un documentario creativo, un film, una lunga serialità per la pay tv o una fiction per una piattaforma digitale, non importa, ma è il momento di considerare alla nostra portata i mercati internazionali.
Una occasione imperdibile ci sarà offerta nell’immediato futuro. La novità della prossima stagione sarà lo sbarco in Italia di Netflix. Voci di mercato danno per certo l’accordo del gigante statunitense con Telecom e l’inizio della messa in onda tra dicembre 2015 e gennaio 2016.
Per Mieli grazie a Netflix ci sarà spazio sia per il prodotto localistico, con caratteristiche italiane riconoscibili (che tanto piacciono all’estero), sia per il prodotto di tipo internazionale che si faccia apprezzare per la propria universalità.
In arrivo dunque un cambiamento epocale, che forse spingerà l’Italia a dotarsi di una agenda digitale e costringerà la concorrenza a trasformarsi in modo radicale oppure a soccombere.
Ricordo che Netflix dispone di un catalogo amplissimo, di circa 8 mila titoli, e i suoi prodotti di streaming on demand comportano per l’utente una spesa tutto sommato modesta (l’offerta base è di 9 dollari al mese). Resta da capire se Sky e soprattutto Mediaset sapranno reggere un vero competitor che in Italia non è mai esistito. Di qui le indiscrezioni di una possibile fusione Sky-Mediaset o di una eventuale cessione del Biscione da parte di un Berlusconi politicamente azzoppato.

Mi auguro che Sorrentino possa avere successo e nuovi prodotti italiani circolino con maggiore libertà. Che la banda larga sia con te, Netflix!  

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