Dal 19 al 21 luglio, il Festival
Internazionale del Corto in Sabina che si celebra a Mompeo vanta tra gli ospiti
di questa edizione Clemente Mimun, Enrico Vanzina e Paolo Fosso. E probabilmente
sarà il vicepresidente di Medusa Giampaolo Letta a consegnare nelle mani del vincitore il premio
Fiction, premio che consentirà al cortometraggio più meritevole di approdare nelle
sale italiane. Una giuria un po’ più ringiovanita del solito è capitanata dal
montatore e attore iraniano Babak Karimi (Una
separazione, Ex, Caos calmo) per dare risalto ad uno
sguardo “altro”, per far valutare i lavori da un’ottica pura e disincantata.
La cornice in cui si svolge il
festival è davvero incantevole. Il palazzo baronale Orsini-Naro, chiamato più
semplicemente dagli abitanti di Mompeo "il castello", fa da sfondo per la
proiezione dei corti. Ed è all’interno delle antiche mura che nella serata conclusiva
viene disposto un lauto e generoso buffet, gratuito, per i comuni spettatori, mentre
al piano superiore della fortezza si svolge un banchetto esclusivo
dove si accede per inviti e ci sono le portate più ricche. Un po’ antipatica questa
distinzione tra cittadini di serie A e serie B in una festa che dovrebbe contribuire
a sensibilizzare alla Settima Arte, ma va bene lo stesso. Non facciamo troppo i
critici.
Il festival è guidato con mano
ferma dalla oramai veterana Maria Luisa Lafiandra e trova ogni anno sponsor
importanti e munifici. Deus ex machina
della manifestazione è il sindaco del paese, l’ingegner Mauro Moretti. Sì, avete
capito bene. L’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato. Che è un
ottimo padrone di casa e quando sale sul palco con il suo charme fa dimenticare
al pubblico che non è certamente esperto di audiovisivo e cinematografia.
L’unica nota negativa è quella di
ospitare nel sito www.festivaldelcorto.org tutti i filmati dei cortometraggi.
Che sono scaricabili e possono essere visionati in anticipo. Questo nuoce alla
bellezza della diretta, allo spirito della competizione e alla imprevedibilità
della gara. Sì, perché può accadere che, come quest’anno, il vincitore sia
proclamato prima che riceva il premio e il suo nome sia chiaro a tutti
rovinando ogni suspense dell’annuncio finale. A chi abbia visto i cortometraggi
selezionati, infatti, apparirebbe come un’ingiustizia, una sonora e tragica sconfitta
del merito, se non si aggiudicasse la palma di Mompeo in Corto Valerio Groppa
con In fondo a destra.
Groppa non è un neofita ed ha un
curriculum di tutto rispetto: diverse collaborazioni con Marco Belardi nei lungometraggi Amore14, Immaturi e Immaturi –il viaggio, la direzione teatrale
di Io, Anna e Napoli, la regia di un
videoclip e di uno spot istituzionale. Ma non è tanto il mestiere che spicca,
quanto la sua sensibilità nel tratteggiare una storia intimistica e assai profonda.
Veniamo a quella che la casalinga
di Voghera ama definire la “trama”. Di che parla il corto? Bene, c’è un anziano
(Sergio Fiorentini) particolarmente loquace, quasi logorroico, che vive da solo
in casa e quando riceve un giovane venditore di aspirapolveri (Gabriele
Pignotta), l’incontro tra i due segna uno scambio reciproco, un’amicizia tra anime
differenti. Il primo accetterà la conoscenza del venditore come una ventata di
novità in una esistenza monotona votata alla solitudine; il secondo invece
riscoprirà il piacere inaspettato del contatto umano nel suo lavoro di “serial
seller” e alla fine arriverà quasi a cercare di dissuadere il vecchio a non
fare l’acquisto. Ma non è tutta qui, la storia, e naturalmente mi guardo bene
dal rivelare la sorpresa finale, anche se molti spettatori la possono intuire
guardando il corto.
Sergio Fiorentini fornisce una
prova di attore strabiliante, riesce a non scivolare nel patetico e dà tratti sinceri
di grande dignità all’uomo anziano, mentre Gabriele Pignotta è una
piacevolissima rivelazione, con il suo ritratto psicologico di giovane
all’inizio scocciato dalla noiosa retorica del vecchio e poi via via più toccato dalla
sua solitudine senza fine.
Perché il pubblico si affeziona
ai personaggi di In fondo a destra?
Perché, al di là del suo valore edificante, proviamo una grande tenerezza per
la storia e ci sentiamo tutti come quel venditore porta a porta che non
vorrebbe avere a che fare con un vecchio ma che per lavoro si adatta a
conoscerlo meglio? La radice più profonda del successo del corto e della sua
fortissima presa emotiva sta nel cambiamento psicologico che il suo giovane antieroe, Pignotta, sperimenta.
Ma come? – direte voi – anche nei cortometraggi si deve raccontare una trasformazione morale o caratteriale di una persona? Tutte le storie mostrano una evoluzione, ribattono i guru della sceneggiatura
americana. E come cavolo facciamo
noi, in pochi minuti, a far vedere Tizio che da cattivo diventa buono, o viceversa?
Calma. Non siate impazienti.
Ora cercherò di volare alto e proverò ad alzare il
livello di questo modesto intervento. Citerò un libro che amo molto, Il potere terribile di una piccola colpa,
che non dovrebbe mancare nello scaffale di uno sceneggiatore anche se affronta
temi di letteratura. Abraham Yehoshua, l’autore del libro, analizza nell’ultimo
paragrafo La cattedrale di Carver e
ci spiega come anche qui, in un incontro tra un uomo cinico e ateo e un cieco
tutto sommato forte e indipendente, venga rappresentato lo sviluppo morale di
un personaggio in modo realistico e convincente, senza sentimentalismi
romantici. Il racconto di Carver è di poche pagine, eppure nella sua brevità
raggiunge lo scopo di un romanzo. Non c’è bisogno di una crisi profonda che
scuota il personaggio alle fondamenta. Basta semplicemente che questi impari ad
avere una prospettiva diversa delle cose, più ricca e articolata.
Yehoshua ci dà la sua ricetta,
che vale per i racconti letterari così come per i cortometraggi.“Le mie
preferenze vanno indiscutibilmente a quelle opere che non si accontentano
soltanto di descrivere intricate situazioni umane, ma che riescono a far capire
al lettore l’evoluzione dei personaggi. Un’opera che si conclude lasciando i
personaggi più o meno allo stesso punto in cui erano apparsi sulla scena mi
sembra insipida, a dispetto della bellezza e ingegnosità della storia
raccontata. Infatti, credo che lo sviluppo di un personaggio e la sua crescita
intellettuale nel corso di un’opera debbano costituire l’ambizione di qualsiasi
scrittore”.
Ecco quello che fa Groppa: ci
racconta un cambiamento, una vera e propria maturazione morale, in cui
l’anziano Fiorentini intraprende senza neppure rendersene conto una missione
educativa nei confronti del suo ospite, il giovane Pignotta. Mette in scena la
“crescita” del venditore di aspirapolveri e rappresenta in forma universale il
passaggio dalla nostra generica inconsapevolezza del problema degli anziani
alla sua presa di coscienza drammatica. In fondo a
destra si muove leggero come un racconto di Carver, spruzzato qua e là di
un fine delicato umorismo. Prende di petto un tema scomodo come la vecchiaia
senza mai andare mai fuori binario, con una messa in scena credibile che ha la
forza della verità. La commedia è pervasa da una sottile e aspra malinconia, ma
soprattutto contiene nei suoi pochi minuti di girato un movimento percepibile,
un dinamismo interno, uno sviluppo che acquista alla fine agli occhi degli
spettatori un suo potere emotivo ed estetico.
Che dire, infine, dopo tutto
questo sproloquio?
Che se questo fosse un paese
normale, Valerio Groppa sarebbe a quest’ora a dirigere un set cinematografico
di primo livello, e può darsi che questo stia già avvenendo, visto che non
conosco Valerio e non so se questo magnifico corto gli abbia portato fortuna
come mi auguro. Provando invece ad immaginarmi una realtà diversa, che non è
quella attuale (per fortuna, direi), se io fossi un produttore, se fossi un
produttore di quelli importanti, che con un paio di telefonate ti chiudono un
progetto, se cioè fossi un De Laurentis o un Valsecchi, convocherei subito,
all’istante, il giovane Groppa nel mio ufficio e senza indugi lo metterei sotto
contratto per un film.
E poi basta con le solite
sceneggiature e regie dei soliti noti, che se per caso acciuffano un successo
sei costretto a vederteli per una vita dietro la loro postazione da
sceneggiatore o/e dietro la macchina da presa! Se penso che per i prossimi
vent’anni ci dovremmo sorbire Francesco Bruni e Massimiliano Bruno (bravi sì,
per carità, ma ciascuno con i suoi limiti e con una vena che non sarà certo
inesauribile) mi viene voglia di non entrare più, mai più, in una sala
cinematografica, oppure, per masochismo autodistruttivo, associarmi ai futuri milioni
di spettatori decerebrati che correranno a vedere il prossimo cine-panettone di
De Sica, Zalone e altri "attori".
Comunque viva il nuovo! Largo ai
più meritevoli! E buon festival di Mompeo a tutti!
anche secondo me questo sarà il corto vincitore...non c'è storia !!!! viva il merito !
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