Sul
palco dell’ultima serata si consuma un colossale abbaglio della giuria e poi
arriva il grido di guerra di Daniele Favilli, un attore hollywoodiano che scuote la platea e compie uno storico strappo “dei figli contro i padri”.
Batman, Guevara e Falcone sono stati i miei eroi
fino a ieri, quando se ne è aggiunto un altro, sotto i riflettori del palco
allestito a Mompeo. Il mio nuovo eroe si chiama Daniele Favilli. Attore
fiorentino di grande carisma e di una bellezza da scultura greca, che molte
telespettatrici ricorderanno per il ruolo del cattivo in "Un Posto al
Sole", dal 2008 Daniele si è trasferito a Los Angeles, per cercare
migliore fortuna. Ebbene, ieri è tornato. La direzione artistica di Mompeo gli
ha riconosciuto il premio come Attore Rivelazione e lui è venuto a ritirarlo in
una piazza gremita di persone. Daniele Favilli però non si è limitato a
mettersi in posa per i fotografi e a snocciolare le frasi di rito, ma ha
tuonato contro il sistema cine-televisivo ormai in fase di stallo e ha spiegato
le ragioni del declino: inerzia, burocrazia, clientelarismo, decisioni prese a
tavolino da poche persone per spartirsi la torta, disinteresse per i “generi”
cinematografici come l’horror, la fantascienza e il film in costume. Piccinerie
tutte italiane, che hanno spinto un talento come quello di Favilli a emigrare a
Hollywood e a cercare di costruire in America una solida reputazione.
Favilli ha promesso che dopo aver conquistato Los Angeles tornerà, sì, ci tornerà in Italia, come il conte di Montecristo, più forte e più potente di prima. In realtà le sue soddisfazioni Favilli se l’è già prese, all’estero. Ha interpretato il ruolo di Sal in Mob Rules, diretto da Keith Parmer. Ha fatto da guest star nella coraggiosa serie inglese Torchwood. E dopo quattro anni, partendo da zero e racimolando soldi e credibilità in giro per gli States, è arrivato a produrre il nuovo film di Parmer, Swelter, in cui sarà a fianco di un serioso e drammatico Van Damme. Alla faccia della mancanza di intraprendenza che viene rimproverata ai giovani! Favilli è assurto a guru delle nuove generazioni di cineasti e ha riscaldato l’arena di Mompeo, con il suo roboante invito lanciato ai filmmaker arrabbiati a “spaccare il sistema” e a ribellarsi contro un paese immobile e conservativo. Moltissimi applausi sono seguiti ai suoi infuocati appelli in stile Tom Cruise di Magnolia. Il suo intervento ha acceso una scintilla di rivolta in tutti i presenti e lasciato qualcosa in eredità ai partecipanti. Un’energia che ognuno conserverà nel proprio cuore.
Favilli ha promesso che dopo aver conquistato Los Angeles tornerà, sì, ci tornerà in Italia, come il conte di Montecristo, più forte e più potente di prima. In realtà le sue soddisfazioni Favilli se l’è già prese, all’estero. Ha interpretato il ruolo di Sal in Mob Rules, diretto da Keith Parmer. Ha fatto da guest star nella coraggiosa serie inglese Torchwood. E dopo quattro anni, partendo da zero e racimolando soldi e credibilità in giro per gli States, è arrivato a produrre il nuovo film di Parmer, Swelter, in cui sarà a fianco di un serioso e drammatico Van Damme. Alla faccia della mancanza di intraprendenza che viene rimproverata ai giovani! Favilli è assurto a guru delle nuove generazioni di cineasti e ha riscaldato l’arena di Mompeo, con il suo roboante invito lanciato ai filmmaker arrabbiati a “spaccare il sistema” e a ribellarsi contro un paese immobile e conservativo. Moltissimi applausi sono seguiti ai suoi infuocati appelli in stile Tom Cruise di Magnolia. Il suo intervento ha acceso una scintilla di rivolta in tutti i presenti e lasciato qualcosa in eredità ai partecipanti. Un’energia che ognuno conserverà nel proprio cuore.
A fine serata, invece, il sindaco di Mompeo, Mauro
Moretti, ex sindacalista ed ex segretario della Cgil Trasporti, diventato poi
amministratore delegato di FS, ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte
criticando la categoria dei giovani, a suo dire troppo pigri e passivi. Anche
Moretti si è unito al coro ultimamente folto di quelli che sparano a zero
contro i giovani, rei di essere di volta in volta bamboccioni, mammoni,
sfigati, attaccati al posto fisso e chi ne ha più ne metta. Moretti ci ha
tenuto a puntualizzare alla platea di Mompeo - rimasta abbastanza fredda alle
sue esternazioni - che i giovani peccano di eccesso di lamentatio e che
invece dovrebbero essere padroni del loro destino. In Italia la classe
dirigente è ancora quella che ha fatto la rivoluzione del ’68, mentre i giovani
di oggi non hanno fatto nessuna rivoluzione e non hanno il coraggio di
spodestare i vecchi, ha concluso Mauro Moretti. Anche il ct della nazionale,
Prandelli, ha detto, in altri termini, che siamo un paese vecchio. Mi sia
permesso di aggiungere, sommessamente, che la storia, come ci ha insegnato
Gobetti, è uno scontro tra élites e che se nel nostro paese non c’è ricambio al
vertice da tanti anni, e neppure la minima competizione per il potere, è perché
i gruppi repressivi hanno sconfitto le istanze di innovazione e una lobby
gerontocratica ha reso impossibile la rivolta. Detto fuor di metafora, non è
che i giovani non vogliono fare la rivoluzione. Sono i vecchi che non vogliono
alzarsi dalle loro poltrone.
Insomma, sul palco allestito davanti al Palazzo Baronale
si sono dialetticamente contrapposte due generazioni. Ci sono state due anime
diverse al Festival internazionale del cortometraggio. Una libera e
indipendente, vitalistica e affamata di cinema. L’altra più ingessata, fatta di
gentleman per carità, come lo storico sceneggiatore Enrico Vanzina (cui è stato
riconosciuto il ruolo importante nella nascita della Commedia all’Italiana).
Gente di successo che ormai appartiene alla classica dirigenza navigata. Anche
se del tutto restia ad andare in pensione.
Di grande effetto l’esibizione di Riccardo Castagnari, in
arte Quince con la sua insuperabile Marlene D., autore di uno spettacolo
acclamato oltralpe, premiato in Francia e Messico, ma ignorato in Italia, a cui
solo Mompeo ha tardivamente riconosciuto una menzione. Il reatino Paolo Fosso
si è aggiudicato invece il Premio rivelazione per la sceneggiatura di Prima
se il buio. Un premio rilasciato sulla fiducia, visto che il film deve
essere ancora girato. E poi a nessuno sarà sfuggita l’apparizione di Valentina
Lodovini, che ha stregato il pubblico, soprattutto quello di sesso maschile,
calpestando i legni del palcoscenico con una mise audace e un passo da pantera,
e ha poi conquistato il premio di Miglior Attrice Comedy.
E i cortometraggi? Ah, quasi dimenticavo. La giuria
presieduta dall’attore e montatore Babak Karimi (assente per motivi di lavoro)
ha ritenuto di dover premiare il cortometraggio Smile di Matteo Pianezzi. Probabilmente il vecchio preconcetto che
il dramma sia più nobile e artistico della commedia ha influenzato i giurati e
forse può avere giocato un ruolo nella valutazione anche il fatto che l’anno precedente fosse
stato premiato un corto comico e dunque dovesse essere redistribuita la misura
dei generi. Qualche detrattore potrebbe dire che Smile sia una storia
esile, piena zeppa di stereotipi e un po’ piagnona, e che la giuria sia
caduta vittima di un facile ricatto emotivo. Metti un bambino sordomuto.
Aggiungi un padre che fa l’artista di strada. E avrai fatto scattare la
trappola dei sentimenti, se racconti che il bambino proprio quel giorno ha
litigato con un compagno di scuola e il padre, come da cliché, lo deve immancabilmente consolare.
In realtà il cortometraggio ha una regia sorvegliata e attenta e la storia è
basata su sospensioni e su non detti. Ma nella proiezione conclusiva ha lasciato
parecchio freddini gli spettatori. Perché è un altro il cortometraggio che ha
emozionato la platea di Mompeo e strappato applausi a rotta di collo: In fondo a destra.
Il corto di Groppa si è aggiudicato una ragguardevole menzione per la sceneggiatura e per gli attori, e la storia non ha mancato di incantare una vecchia volpe come Vanzina, che pubblicamente si è complimentato e ha citato il corto come modello di cinema, guardandosi bene dallo spendere una sola parola su Smile.
Un altro cortometraggio che ha fatto incetta di premi è Quell'estate al mare, di Anita Rivaroli e Irene Tommasi, che vede la partecipazione di un misurato e intenso Roberto Citran. Produttivamente è il corto più impegnativo e ambizioso e ha visto la luce grazie ad una raccolta di fondi avviata su Internet. Che non è un feticcio oscuro, come ha beffardamente adombrato un giovane inesperto attore di fiction, ma uno strumento indispensabile per chi oggi si affaccia al cinema. La storia di Quell'estate al mare forse appare un po' troppo prevedibile, ma scorre via leggera e garbata e ha il pregio della verosimiglianza, della credibilità degli attori e di una direzione senza sbavature. Mette in campo un tema non facile come quello degli orfani e ci lascia il sorriso sulle labbra.
Infine, il premio come miglior regia e anche il premio ex equo come
miglior sceneggiatura sono andati a Al servizio del cliente, un inno all'amore e alla gioia, un piccolo poema comico, una originale e
briosissima storia di Beppe Tufarulo ambientata in un supermercato. Solo un
piccolo difetto nell’orologeria della narrazione: il “dietro le
quinte” di un anomalo supermercato viene rivelato troppo presto e avrebbe
giovato nel dosaggio degli ingredienti un attimo di sospensione in più, una maggiore carica di attesa e di curiosità per lo spettatore. Ma si
tratta di inezie tempistiche, perché il corto è davvero godibile!
Un ultimo immenso plauso va alla direzione del festival e all'organizzazione
della macchina di Mompeo, come al solito impeccabile e generosa. Fra le principali novità
di questa edizione, lo ricordo, c’era la possibilità per il vincitore di
approdare in alcune sale cinematografiche e quindi di ottenere una grandissima
visibilità. Chissà se un giorno torneremo a vedere i cortometraggi non solo
nelle sale, ma anche sugli schermi televisivi. Chissà se una tv magari più
innovativa come La Sette non possa sposare questa iniziativa. Ci auguriamo che
l’auspicio si possa trasformare in realtà e che Mompeo regali questo sogno ad
un altro film maker arrabbiato, tra i tanti giovani che si danno da fare e si spaccano la schiena per realizzare le loro opere, checché ne pensino i loro
“padri”.
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