NEL 1982 SI SPEGNEVA A ROMA IL
VULCANICO BOCCIA, IN ARTE AMERIGO ANTON, UN ARTISTA CON TANTA VOGLIA DI FARE E
POCHI SCALCINATI MEZZI. UN VERO MITO DELLA CINECITTA’ DI UNA VOLTA, UNO CHE NON
HA MAI SPRECATO UN METRO DI PELLICOLA. SBEFFEGGIATO DA TUTTI E TARDIVAMENTE
RIVALUTATO, E’ STATO DEFINITO “L’ED WOOD ITALIANO”
Il cinema italiano degli anni d’oro,
quello dei mitici anni ’60, vanta un ricco sottobosco di registi e improvvisatori,
animatori di una cinematografia di quart’ordine, una riserva che, a parte
l’eccezione di Aristide Massaccesi, è stata ed è tuttora poco sondata dalla
critica. Qualche nome? Al Bradley, Giuliana Gamba, Demofilo Fidani, Paolo
Heusch, e l’elenco potrebbe continuare a lungo: tutti nascondono una bizzarra
parabola esistenziale e un approccio sgangherato al cinema come prodotto
artigianale da realizzare a tutti i costi anche con un budget striminzito.
Questi autori restano sconosciuti al grande pubblico di oggi così come a quello
di ieri che ne ha consumato i prodotti con appetito robusto e soprattutto un
palato di non eccessive pretese.
Tra questa schiera di creativi arruffoni e cialtroneschi, la personalità più fascinosa è sicuramente quella
di Tanio Boccia, prolifico quanto sfortunato artefice di “film di serie Z”. Sono
tantissimi gli aneddoti che si raccontano di lui, maestro nel risolvere
situazioni impossibili. Come di quella volta che aveva previsto una scena con
sei ballerine sul bancone di un saloon, ma per problemi economici riuscì a
reperirne solo tre. Si fece portare, poco prima del ciak, uno specchio: fu
questa la soluzione. Oppure, quando durante le riprese di una scena d’amore il
carrello ebbe un brusco sobbalzo, Boccia non volle rifare la scena, ma al doppiaggio,
invece di far dire “cara, ti amo”, fece dire all’attore “è mezzogiorno, sta
passando il treno”.
Di questo regista caparbio e un po' mattoide nessuno ha proposto un revival, come è successo in America con Ed Wood, nessuno ha realizzato un documentario, nessuno gli ha dedicato un saggio critico o una rassegna festivaliera, come fece Ghezzi anni orsono a Bellaria per pellicole come Plan 9 form Outer Space. Glen or Glenda, Bride of the Monster. Eppure Tanio Boccia seguita ad avere i suoi estimatori. Un pubblico di appassionati che si diverte a guardare le sue opere sgangherate.
Di questo regista caparbio e un po' mattoide nessuno ha proposto un revival, come è successo in America con Ed Wood, nessuno ha realizzato un documentario, nessuno gli ha dedicato un saggio critico o una rassegna festivaliera, come fece Ghezzi anni orsono a Bellaria per pellicole come Plan 9 form Outer Space. Glen or Glenda, Bride of the Monster. Eppure Tanio Boccia seguita ad avere i suoi estimatori. Un pubblico di appassionati che si diverte a guardare le sue opere sgangherate.
Non è un caso che, quando
Gaudioso, Nunziata e Cappuccio hanno diretto nel 1998 Il caricatore, in cui
raccontavano le peripezie di tre giovani cineasti per realizzare un film, la
dedica a Tanio Boccia rendeva omaggio all’autore di filmacci anni ’60. In questo esordio sui generis prodotto da Arcopinto
ritroviamo la stessa determinazione, l’orgoglio della diversità e il lavoro
sommerso del filmmaker indipendente che hanno caratterizzato la filmografia di Boccia, così
come l’autoironia e la capacità di volgere in grottesco gli inciampi di un
mestiere esercitato quasi senza speranze.
Ma chi era veramente Tanio
Boccia? E perché oggi la sua opera è tanto importante da farlo assurgere a
icona pop e indimenticabile della “Hollywood sul Tevere”?
Emigrato dalla Basilicata, Boccia
scopre a 40 anni la sua passione divorante per il cinema. E da allora si mette
in testa che una cosa sola dovrà fare: film, film e poi film. A qualsiasi
costo. Dai tardi anni Cinquanta, quando eravamo “poveri ma belli”, ai primi Settanta, questo bizzarro e concreto metteur en scene sforna una ventina
di pellicole. Denominatori comuni? Sceneggiature buttate giù in tempi record,
tempi di ripresa strettissimi, grande improvvisazione sul set e palese
imitazione dei modelli cinematografici dominanti. Film bellici che fanno il verso
a quelli di John Wayne, drammi popolari che riprendono i temi ormai in declino
del neo-realismo, polpettoni storici, peplum ispirati al successo mondiale di
La tunica e Spartacus, noir improbabili, fantascienza povera, 007 pecorecci e, sulla falsariga di
Sergio Leone, una serie di spaghetti-western girati alle porte di Roma.
Artigiano di prodotti di facile
consumo, Boccia allestisce con mezzi modestissimi degli spettacoli che
all’epoca erano considerati godibili dal pubblico grossolano dei cinemini di
periferia. Racconta per lo più delle fiabe ingenue, risibili, raffazzonate, e torna all'essenza del cinema delle origini, nato come baraccone da fiera gioioso e vitale. Per
i suoi film Boccia scrittura di volta in volta attori sconosciuti o volti popolari,
stelle sul viale del tramonto o astri nascenti, come Ombretta Colli e Rosalba
Neri, Anita Ekberg e Raffaella Carrà, ma anche Moira Orfei, Kirk Morris, Rik
Battaglia, Andrea Aureli, Car-lo Giuffrè, Fosco Giachetti, Massimo Serato e
Richard Harris.
Boccia sa riciclare scenografie
di terza mano, dove hanno appena finito di lavorare registi di fama. Raccoglie
le briciole cascate dal tavolo altrui, e non se ne vergogna. Ma quando la lavorazione comporta
tagli economici e corse contro il tempo Boccia dirige in modo talmente veloce e
pressappochista che sono frequentissimi nei suoi film scivoloni in una comicità
ampiamente involontaria. Come ha scritto Kezich indignandosi, rappresentano
“una successione di eventi senza capo né coda, con costumi da carnevale povero,
trucchi goffi e boati fastidiosi".
La maggior parte della sua opera
è stata bollata come trash, mondezza, “cinema spazzatura”, e non sarò certo io a
smentire questo giudizio. Se oggi si vuole riportarla alla luce, è per la
carica umana in essa sottesa, per la passione ostinata con cui Boccia volle a
tutti i costi fare film, per l’«amore impossibile» verso Hollywood e Cinecittà
che lo contraddistinse. L’America dei grandi titoli e del divismo, Eldorado
irraggiungibile di ogni vocazione cinefila che si rispetti, costituiva per
Boccia una sorta di fata morgana dell’immaginario. Nei suoi trash movies però si respira un'aria genialoide, una vena anarcoide e felicemente folle. Le sue storie non sono mai noiose e sono tanto imperfette da sconfinare nell'onirismo.
La cinematografia di Boccia, con
la sua enfasi sull’artificio, sui materiali, sui corpi, affonda le proprie
radici nel «camp», arte di fresca popolarità che disprezza i contenuti, si
propone come falsa e decorativa e mira a svecchiare l’intellettualismo.
Un
universo di parole e immagini dove domina uno sguardo obliquo invece che
diretto, dove gli affetti e le emozioni deviano dal corso presunto normale e si
enfatizzano piuttosto in eccessi.
«Il camp – ha scritto la Sontag – pone ogni
cosa tra virgolette: è la massima estensione possibile della metafora della
vita come teatro.»
Per chi continuasse ad ostacolare
l’idea che si possa dare cittadinanza culturale anche ad un maestro del trash,
voglio ricordare che l’opera di Tanio Boccia è indirettamente rivalutata dal
consumismo e dalla colossale, divorante mercificazione di massa che ha colpito
la società neocapitalistica odierna, rappresentabile come un'immensa discarica
di detriti, per cui oggi appare definitivamente entrato in crisi il concetto di
“bello” e di “brutto”. O forse, proprio nella degenerazione imposta dalla
deriva televisiva, Boccia risponde come nessun altro all'immagine dell’autore
come produttore di materiale da usare, rielaborare e gettare senza il rischio
di privare il mondo di qualcosa che merita una qualche registrazione o anamnesi.
FILMOGRAFIA
Dramma sul Tevere
(drammatico, 1952)
Con Renato Baldini, Bianca Doria , Aldo Fiorelli, Zina
Rachewski
Una vedova ha due figli: uno cresce onesto e lavoratore,
l'altro, invece, preferisce la compagnia dei bulli del quartiere. Diventa l'amante
di un'esosa ballerina e per mantenerla tenta una rapina. Fallito il tentativo
decide di cambiare sistema e si limita a rubare i soldi a sua madre. La donna,
sconvolta, muore d'infarto; il fratello lo ammazza. (Farinotti)
Anna, perdonami (drammatico,
1953)
Sceneggiatura di Alberto Albani Barbieri e Mario Moroni. Con
Aldo Fiorelli, Maria Frau, Silvana Jachino, Tamara Lees, Marisa Merlini.
Produz. Videor Film.
Condotto negli Stati Uniti come prigioniero di guerra, un
uomo vi è rimasto e si è sposato. Alla morte della moglie torna in patria e
rivede tutte le donne che ha amato, tranne Anna, morta dando alla luce la loro
figlia. (Farinotti)
Traguardi di gloria
(documentario, 1957)
Film di montaggio sulle vittorie italiane nel corso dei
giochi olimpici
Arriva la banda
(drammatico, 1959)
Con Carlo Giuffrè, Maria Fiore Matteo Spinola
È il solito intreccio melenso, con due innamorati che hanno
la vita dura perché il padre di lei non è d'accordo. Non manca una rivale
maligna e gelosa. (Farinotti)
Il conquistatore d’oriente (avventura, 1960)
Con Rik Battaglia, Gianna Maria
Canale, Giulio Donnini, Tatiana Farnese, Fosco Giachetti, Irène Tunc
Nell'Oriente di Aladino,
l'usurpatore Dakar siede sul trono di un non meglio identificato regno. Un
giorno a palazzo vengono portate alcune ragazze rapite dai soldati, tra cui la
bellissima Fatima, che Dakar decide di fare regina del suo harem. Ma la schiava
Katicia s'impietosisce e la fa fuggire, lungo il fiume. Fatima sta per essere
travolta dalle rapide, ma viene salvata dal legittimo erede al trono Nadir.
Dopo altre disavventure, questi riesce a riconquistare il regno, dove vivrà
cent'anni felice e contento con Fatima. (Farinotti)
Il trionfo di Maciste (avventura, 1961, 90’)
Sceneggiatura di Arpad DeRiso e
Nino Scolaro. Con Kirk Morris, Liuba Bodine, Cathia Caro
Il forzuto Maciste interviene per
ristabilire i diritti degli abitanti di una città, oppressi da una crudele
tiranna. Ovviamente riuscirà nell'impresa. (Farinotti)
I predoni della steppa (avventura, 1962)
Con Kirk Morris, Moira Orfei,
Daniele Vargas
Samira, figlia di Yesen e
promessa sposa del potente Altan, viene rapita da Sandar e dai suoi predoni.
Sandar s'innamora della fanciulla e la restituisce, ma quando l'avido Altan
invade le terre di Yesen torna alla riscossa. (Morandini)
Giulio Cesare, conquistatore delle Gallie (avventura, 1963, 103’)
Con Rik Battaglia, Cameron
Mitchell, Dominique Williams, Raffaella Carrà, Nerio Bernardi
Anno 702 a.U.c. (ab Urbe
condita). Il grande Cesare deve combattere su due fronti: a Roma contro gli
avversari politici che fanno capo a Cicerone, in Gallia contro Vercingetorige
che guida la lotta di liberazione. Li sconfigge tutti. Un film per quelli che
hanno fatto (o fanno) il liceo classico: pretende di essere tratto dal De bello
gallico. (Morandini)
Sansone contro i pirati (avventura, 1963)
Sceneggiatura di Guido Malatesta.
Con Kirk Morris, Tullio Altamura, Margaret Lee, Daniele Vargas, Aldo Buffi
Landi
Rapita per essere venduta come
schiava, Amanda fugge e naufraga sull'isola pacifica di Sansone e della sua
tribù. Sansone decide di punire il rapitore. Amerigo Anton, alias Tanio Boccia,
ha praticato molti generi "bassi" del cinema italiano, dando il meglio
di sé (si fa per dire) nell'avventuroso-mitologico. Qui punta su K. Morris,
uomo forte già impiegato in Il trionfo di Maciste. (Morandini)
Maciste alla corte dello zar (avventura, 1964)
Sceneggiatura di Mario Moroni e
Alberto De Rossi. Musiche di Carlo Rustichelli. Fotografia di Aldo Giordani.
Con Kirk Morris, Ombretta Colli, Gloria Milland, Massimo Serato, Tom Felleghi,
Giulio Donnini, Dada Gallotti. Prod. CineLuxor
Dovevano ritrovare un tesoro per conto del feroce zar
Nikolaj (Serato), invece liberano dall’ibernazione Maciste (Morris), che anche
per amore della bella Sonia (Colli), si schiererà contro i ribelli e guiderà il
popolo alla vendetta contro i tiranni. Nemmeno le possibili allusioni alla
guerra fredda riescono a dare un pizzico di interesse a questa trasposizione in
terra russa dell’eroe mitologico, che non dà mai segni di congelamento
nonostante stia sempre in perizoma mentre gli altri portano robuste pellicce.
(Mereghetti)
Il dominatore del
deserto (avventura, 1964, 92’)
Sceneggiatura di Mario Moroni. Con Kirk Morris, Hélène
Chanel, Paul Müller, Rosalba Neri
Sterminati gli abitanti del
villaggio in cui vive la bellissima Fatima di cui si è invaghito, il tiranno
Yussuff la fa rapire. Ma la fanciulla fugge e s'innamora di Nadir che affronterà
il despota. Mediocre film d'avventure, di un'ingenuità e di una puerilità quasi
commoventi. Perfino la fotografia è insulsa. (Morandini)
La valle dell’eco
tonante (avventura, 1964, 90’)
Sceneggiatura di Mario Moroni. Con Kirk Morris, Rosalba
Neri, Hélène Chanel, Spela Rozin,
La principessa Farida vuole impadronirsi della "terra
dei pascoli verdi" che, per volontà dei profeti, appartiene ai Gamaly,
guidati da Selina.La regione è inoltre protetta dagli Uomini Eco, popolazione
selvaggia dai catastrofici poteri sonori. I Gamaly trovano in Maciste un
alleato prezioso. Riusciranno grazie a lui a sconfiggere gli Uomini Eco, a
eliminare Farida e a raggiungere gli ambiti pascoli. («Tv sette», 18/06/98)
La rivincita di
Ivanhoe (avventura, 1965)
Con Andrea Aureli, Gilda Lousek, Duilio Marzio, Clyde Rogers
Ivanhoe, a fianco dei ribelli sassoni, combatte per sposare
Rowena e rovesciare gli Hastings, usurpatori feudali appoggiati dal reggente
Giovanni, fratello del re Riccardo Cuor di Leone (1189-99) partito per la terza
crociata. Ivanhoe (1830), famoso romanzo di Walter Scott, ha dato origine a
molti figli cinematografici più o meno bastardi. Quello di Anton (pseudonimo di
Tanio Boccia) non è dei peggiori, nonostante i pochi mezzi. (Morandini)
Agente X 1-7 Operazione
oceano (spionaggio, 1966)
Sceneggiatura di Mario Moroni. Con Eleonora Bianchi, Aurora
De Alba, Lang Jeffries
Un agente federale si fa rapire sotto il naso lo scienziato
che è incaricato di sorvegliare. Lo trova e lo libera.
Uccidi e muori
(western, 1967)
Con Elina De Witt, Robert Mark, Fabrizio Moroni
Ringo arriva nel favoloso Ovest giusto in tempo per essere
coinvolto nelle beghe di due famiglie: i Griffith e i Drumont. Malgrado fra lui
e la bella Lisa Drumont nasca una tenera simpatia, Ringo fa giustizia degli uni
e degli altri, che han fatto fronte comune contro di lui. (Farinotti)
Dio non paga il
sabato (western, 1968, 92’)
Musica di Angelo Francesco Lavagnino. Con Max Dean, Vivi Gioi, Robert Mark, Larry War
In un paese fantasma dove è stato nascosto un prezioso
carico di denaro rubato si intrecciano sanguinose trame. Il bandito autore
della rapina con la sua donna e due dei suoi uomini cercano di difendere il
bottino da una vecchietta del luogo e da un ex compagno del fuorilegge in cerca
di vendetta. La morte risparmia solo la coppia dei forestieri; il fuoco brucia
il malloppo ed il paese. (Farinotti)
Sapevano solo
uccidere (western, 1968)
Sceneggiatura di Mario Moroni. Musica di Angelo Francesco
Lavagnino. Con Dada Gallotti, Kirk
Morris, Alan Steel, Larry Ward
Dopo un assalto subito da una banda di messicani guidata da
un certo Saguaro, Jeff si lancia alla ricerca dei malviventi in direzione di
Lake City. Eletto sceriffo del paese per acclamazione della popolazione, avrà
partita vinta. (Farinotti)
Crepuscolo di fuoco
(anche Guerra sul fronte est, guerra, 1970, 92’)
Con Renato De Carmine, Gianni Dei, Katherine Kendall,
Roberto Maldera
È la storia di due soldati italiani che combattono in
Grecia. I poveretti cercano di rientrare nelle loro linee. Uno viene ferito e
l'altro chiede aiuto a una giovane greca che, impietosita, gli procura delle
medicine. La cosa viene ritenuta un tradimento dai suoi compatrioti e la
giovane viene uccisa. Anche per i due protagonisti finirà male. (Farinotti)
La lunga cavalcata
della vendetta (western, 1972, 92’)
Con Rik Battaglia, Anita Ekberg, Richard Harrison
Banditi messicani gli hanno derubato, violentato e ucciso la
sorella. Lui si vendica.
Studio legale per una
rapina (drammatico, 1973)
Con Kay Fisher, Gisella Pardi, Brigitte Skay, George Wang
Un avvocato, finito prima in miseria e poi in galera, viene
a conoscenza del progetto di una rapina da un detenuto in fin di vita. Appena
liberato, trova i complici del recluso morto e partecipa all'impresa, ma il
"colpo" fallisce. (Farinotti)
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