domenica 9 settembre 2012

I FILM PREMIATI E I RETROSCENA DEL FESTIVAL PIU' PAZZO DEL MONDO

Il vincitore doveva essere The Master di Thomas Anderson! Invece il premio è andato a Pietà di Kim Ki-duk.
Sul palco della premiazione gaffe e scivoloni imbarazzanti. In conferenza stampa un tirannico Michael Mann mette a tacere Garrone. E’ successo veramente di tutto in questa edizione del festival.     




A Venezia persino il comitato del sagra della tellina avrebbe saputo fare di meglio del superdirettore del festival Alberto Barbera e del suo strapagato e numeroso staff. Quest’anno la kermesse cinematografica è stata molto giù di tono, disertata dal pubblico e avara di storie interessanti, ma quello che ha più colpito è il retroscena della premiazione.
La giuria aveva deciso di assegnare il Leone d’oro a The Master, film controverso ispirato al fondatore di Scientology. E’ partita addirittura una telefonata da Venezia in America per avvertire il produttore e il regista della premiazione che si sarebbe celebrata in loro onore al Lido. Ma, subito dopo, la giuria presieduta da Michael Mann ci ha ripensato. Come ha candidamente ammesso il regista americano “per il regolamento della Mostra, che non permette Leone d’oro e premi agli attori, abbiamo deciso un buon modo di premiare totalmente The Master, con un principio di equivalenza, dando regia e attori”. Quindi il primo grosso pasticcio è stato decretare un vincitore e poi smentirsi, per dare a The Master come consolazione il premio per la miglior regia. Allora, in un clima febbrile e paradossale, si è proceduto a ripescare il film di Kim Ki Duk, Pietà, un capolavoro assoluto e intenso, ma anche un’opera da cinefili che avrebbe fatto storcere il naso a qualche giurato.   


Durante la cerimonia le gaffe non sono mancate. La Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile è andata a Philip Seymour Hoffman a pari merito con Joaquin Phoenix. Quest’ultimo non si è degnato di venire a ritirare la coppa e sembrava che neppure Seymour Hoffman dovesse venire. All’ultimo momento l’attore feticcio di Thomas Anderson si è presentato sul palco senza fare neppure il red carpet con il fiatone e l’aria annoiata di chi non avrebbe voluto esserci. Ha cercato di giustificare l’assenza del collega ma in qualche modo ha peggiorato le cose, facendo capire che la sua presenza lì era stata quasi fortuita. «Sono sceso cinque minuti fa dall'aereo, non giudicate il mio vestito, mi sono appena cambiato in bagno - ha detto - Joaquin Phoenix avrebbe voluto essere qui. Joaquin è una forza indomita e io non ho fatto altro che cavalcare la sua forza, ma lui è indomabile». Michael Mann e Kasia Smutniak richiamano Hoffman per consegnargli il premio speciale della giuria, e lui torna sul palco dicendo: «Conosco Anderson da 20 anni, siamo stati insieme in 5 film ed è un amico, è il migliore regista ed è una fortuna per me lavorarci». Peccato però che Anderson non fosse presente sulla scena e avesse snobbato il nostro festival.

Successivamente davanti a flash e telecamere viene annunciato che il Leone d’argento è stato assegnato a Ulrich Seidl per Paradise: Glaube. Un attimo dopo una incantevole Laetitia Casta si alza e, risvegliandosi dal suo torpore di bella addormentata, grida “fermi tutti, c’è stato un errore”. Laetitia richiama sul palco Seymour Hoffman, e dice a Seidl “scambiatevi i premi, abbiamo sbagliato”. Per la concitazione a Hoffmann il leone cada per terra e la platea, più rigida di un pesce surgelato, resta a bocca aperta a vedere la pesante statua rimbalzare con un sordo tonfo...
La cerimonia per fortuna volge al termine e il leone d'oro viene dato al ripescato, Kim Ki-duk, mentre tutti si spellano le mani. Come ciliegina sulla torta, per ringraziare il pubblico, il regista vincitore intona una canzoncina coreana soporifera con cui ammorba per qualche minuto gli esterrefatti spettatori e infine alza il pugno verso i fotografi. Fine dello spettacolo.
Alla conferenza stampa post premiazione Michael Mann spiega: “Abbiamo lavorato con grande attenzione. Volevamo dare il Golden Lion a 18 film! Ma a Venezia non si può!”. Alla domanda “Ma come sono stati giudicati i film italiani?” avrebbe voluto rispondere Matteo Garrone, l’unico giurato tricolore, ma il dittatoriale americano gli toglie la parola e afferma: “Non dovete richiedere la stessa cosa a un singolo membro della giuria mettendolo in imbarazzo. Il processo della decisione è privato e non intendiamo parlarne qui”.
La morale (amara) è che un bravo regista può essere anche un pessimo presidente di giuria, che dovremmo far organizzare i festival a chi li sa fare e, come al solito, l’Italia è rimasta a bocca asciutta, in fatto di esterofilia il neodirettore Barbera mostra una inquietante continuità con Müller e i produttori italiani sono venuti al Lido per prendersi un po’ di fresco e vedere il cinema estero...
Alla prossima edizione!
 
 

 

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