Stridio di gomme, il rumore di un’auto che morde l’asfalto e poi un colpo violentissimo. Frammenti di vetro e lamiera. Sangue. Tanto sangue... In questo modo, dieci anni fa è morto un giovane attore, e con lui si è spento il suo sogno.
"Non vi è più un Dio che incomba, una giustizia, un fato come nella Quinta Sinfonia; la minaccia viene dagli incidenti stradali, da dighe che crollano per difetti di costruzione, dallo scoppio di fabbriche di bombe atomiche per la distrazione di un addetto ai laboratori, dall'errata regolazione di incubatrici. La nostra strada passa per questo mondo di contrattempi.”, scriveva Friedrich Dürrenmatt.

Il caso, il destino beffardo, ha giocato un ruolo importante nella morte di Angelo
Giugliano a Roma. La sera del 4 ottobre del 2002 Angelo aveva scelto di
riposarsi sulla sua auto, aveva parcheggiato nell’area di un distributore romano
e si era steso sul sedile della Polo. Forse aveva bevuto e per prudenza aveva
deciso di non guidare; o forse non sapeva dove andare e per una notte si sarà
detto che poteva pure domire in macchina. Fatto sta che se n’è andato durante il sonno, quella sera a via
Tiziano, quando un’altra auto, lanciata a folle velocità da un giovane rom,
l’ha urtato con violenza. Il conducente, 18enne, è scappato a bordo della
vettura dell'amico con cui aveva ingaggiato la sfida spericolata. I due
zingari, David Stankovik e Paule Jancovic, sarebbero stati arrestati qualche ora dopo. Per Angelo ormai non c’era nulla da fare.
Sarebbe
stato un mattatore civettone o un divo timido e silenzioso? Un interprete
naturalistico o un narciso al centro della scena? Ce l’avrebbe fatta oppure no?
Avrebbe sfondato o sarebbe rimasto un precario della televisione? Questo non lo
sapremo mai. Quel che è certo è che Angelo si dava da fare per affermarsi in un
campo assai difficile. Giovane del Nord, nella capitale non se la passava molto
bene e negli ultimi giorni di settembre del 2002, soldi in tasca gliene
giravano pochi. Aveva lasciato la pensioncina di piazza Vittorio e quella sera,
come le precedenti, a sorreggerlo in una capitale spettrale e solitaria c’era
solo la forza della sua passione. Angelo era un attore nato, una di quelle
persone per cui recitare è tutto. Aveva intessuto la sua vita di sogni e
trovava nella mediocrità del presente lo stimolo per non arrendersi. Era in
attesa della svolta che lo avrebbe sottratto per sempre da una precarietà
randagia, da una stagione di speranze che esaltava e lo deprimeva al tempo
stesso. A tempi alterni, come gli ingaggi e le particine televisive.
Angelo proviene da Voghera, una cittadina in cui la
ricchezza portata da un industria alacre gareggia con la tipica sonnolenza
della provincia, i suoi ritmi prevedibili. Diventa assicuratore, un lavoro che
gli fa conoscere la sicurezza economica, ma che non appaga né il suo lato
istrionico né la sua voglia di avventura. Scopertosi attore, arriva a Roma con
la certezza che a Voghera di film non se ne girano. La capitale lo folgora:
tutto quello che ha conosciuto prima non regge semplicemente al confronto.
Non
deve aver tardato molto a scoprire, però, che a Roma di gente come lui ce n’è
tanta. Tutti in fila alle interminabili attese delle audizioni, dei provini, o
di ronda nelle case di produzione, con sottobraccio il proprio book e la speranza che qualcuno che conta
finalmente ti passi un copione e ti chieda di impararlo a menadito. Tutti in
attesa di recitare la loro parte più importante: quella della persona di
successo in quel misterioso e affascinante teatro che è la vita vera.
Ma Roma dietro la sua aria scanzonata e sorniona, dietro
la sua rutilante e chiassosa apparenza, è una città spietata. E se l’è portato
via, per un’assurda combinazione del destino. Per una sfida che si sono
lanciate due Golf, una gara clandestina di due vetture che in alcune telefonate
al 113 erano già state segnalate mentre sfrecciavano vicino corso Francia oltre
i 150km/h.
Un poeta romano, Gioacchino Belli, nel suo lucido
cinismo, ha scritto: “La morte sta anniscosta in ne l’orloggi. / E ggnisuno pò
ddì: ddomani ancora / sentirò bbatte er mezzoggiorno d’oggi. / Cosa fa er
pellegrino poverello / ne l’intraprenne un viaggio de quarc’ora? / Porta un
pezzo de pane, e abbasta quello.”
Ciao, Angelo!
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