Decine le manifestazioni che aprono alle web-series: dal Roma Web
Fest al Linea D’Ombra Festival fino al WebSeriesFest, Procida FilmFestival, CortinaMetraggio, e Campi Flegrei Web Series Fest, oltre all'appuntamento al RomaFictionFest. Molti addetti ai lavori auto-producono fiction digitale e cresce il numero di utenti votati alla Rete. La televisione e il cinema sono agonizzanti. Siamo vicinissimi ad un giro di vite. Forse Rai e Mediaset decideranno di investire sul web (anche se la cancellazione di "uMan" e "La scimmia" non depone a favore di un cambiamento culturale).
Ma perché le web-series hanno un potere emotivo così forte? Quali
sono le ragioni per cui si è formato un sostanzioso
patrimonio di fiction digitale? Perché tanti creativi si cimentano col nuovo mezzo?
Ecco cinque buone ragioni per snobbare cinema e tv. Ecco un manifesto per la web-fiction del domani.
Cinque buoni motivi per diventare youtubers
Proviamo ad analizzare le ragioni che spingono giovani e meno giovani verso
l’innovazione tecnologica e cerchiamo di capire quali vantaggi ci saranno nella
trasformazione del mercato dell’audiovisivo.
Avere bassi costi di realizzazione
La ragione più ovvia per cui il digitale
si è affermato rapidamente è perché costa poco. La “leggerezza” del mezzo, la facilità della messa in scena e la
possibilità di intervento sulle immagini in post-produzione ha portato a
snellire l’equipe che lavora attorno ad un film e a ridurre notevolmente i
costi della macchina produttiva. Dopo la digitalizzazione del medium la stessa
esperienza cinematografica ha perso la sua centralità e la sala rappresenta oggi
una delle tante possibilità di sfruttamento di una storia. Entra in crisi la vecchia pratica di
“andare al cinema”, diminuiscono i ricavi derivati dagli esercizi e proliferano modalità di fruizione diverse:
l’home video, il DVD, i network generalisti, i canali digitali, la
pay-per-view, la proiezione sull’aereo, le trasmissioni sul cellulare, il video-on-demand attraverso internet.
Di pari passo la Rete acquista una valenza
autonoma e diventa una magnifica vetrina. E’ una valida alternativa di
distribuzione per lungometraggi, per opere di più corto respiro, per prodotti
fatti in casa e soprattutto per la lunga serialità. YouTube, Blip, Vimeo e i
canali di sharing rappresentano un luogo virtuale dove rendere disponibili i video. Siamo entrati nell’era del user-generated content. Prodotti multimediali creati fuori da una rigida routine
professionale.
Essere indipendenti rispetto a
tematiche e gruppi di potere
Youtube
permette a chiunque di creare qualsiasi tipo di materiale. Una serie italiana
che parla di superpoteri non avrebbe riscosso approvazione dalle produzioni che
si fanno intimorire facilmente. In questo modo non abbiamo dovuto convincere
nessuno nel credere a questo progetto se non noi stessi. E siamo stati spinti
da un solo obiettivo: intrattenere le persone gratuitamente e con qualità. Questa è la dichiarazione di uno
degli autori di Freaks, la serie che
nel 2011 ha spopolato sulla Rete. Non ci vuole molto per capire che per un
creativo che si affaccia nel mondo della televisione o per un professionista
che elabora idee anti-convenzionali la lunga serialità oppone due tipi di
sbarramenti. C’è in primo luogo la difficoltà ad entrare in clan e gruppi di
potere, che impediscono l’ingresso di persone estranee alla comunità e
perpetuano modelli autoreferenziali, e in secondo luogo l’impossibilità di
trattare tematiche scomode e di usare un linguaggio sciolto da vincoli di
obbedienza sociale e ideologica.
La web fiction garantisce all’autore di
rimuovere gli ostacoli che frenano lo sviluppo di idee nel campo
televisivo e cinematografico. In Italia pochissime imprese – si possono contare
sulle dita di una mano – forniscono la totalità dei prodotti e si affidano ai soliti registi e sceneggiatori senza mai
rinnovare il loro parco creativo. Chiamatele lobby, oligarchie, tribù, o come
volete, ma in un regime che si cristallizza e si va restringendo, per
via della recessione, non c’è spazio per gli outsider. Invece se si ha la
fortuna di vedersi commissionato un lavoro dalla televisione,
occorre scegliere soggetti che vadano bene per una serie nazional-popolare e contengano eventi che possono essere mandati in onda in prima serata. I
mass media sono obbligati dalla loro stessa configurazione a comunicare al
minimo comune denominatore, elaborando cliché decifrabili. I dirigenti
di Rai e Mediaset hanno in mente un pubblico formato da bambini, anziani,
casalinghe e persone poco istruite.
Fino a non molto tempo fa la gestione
dei media diretti al grande pubblico era esclusiva dei professionisti. Chi non
oltrepassava una serie di filtri sociali gestiti da severi “controllori”
(direttori, editori, produttori, ma anche politici e così via) non era
autorizzato a rivolgersi ad una platea degna della società di massa[1].
Ora grazie al web tutti sono liberi di
esprimersi come desiderano. Le serie nascono prive di asservimento, di
auto-censure e dei pedaggi che si pagano per lavorare nello
spettacolo. I prodotti fai-da-te scavalcano le prerogative del professionismo.
Coniano un linguaggio in sintonia con i nostri giorni, affrontano temi ruvidi e
scottanti e si rivolgono ad un pubblico consapevole, senza incorrere in divieti
o restrizioni. I produttori che continuano a vivere di
posizioni di rendita non riusciranno ad arginare il movimento che partendo dal
basso sconvolgerà la fabbrica dello spettacolo. Ignorare la rivoluzione in atto non servirà a niente.
Contare su un mercato in crescita
Nel 2012 ben 5,6 milioni di utenti
hanno guardato contenuti video. Ma chi sono le persone che vantano maggiore dimestichezza
con l’informatizzazione? Il 90% dei giovani. E poi laureati, diplomati, impiegati,
insegnanti, imprenditori e lavoratori autonomi. Un pubblico istruito e dal
profilo qualificato. Un mercato che cresce in via esponenziale e che rappresenta
un ottimo target per le aziende pubblicitarie. Una nuova specie di spettatore,
con redditi alti e gusti elevati, che ha aspettative che non vengono soddisfatte
né dal cinema d’autore né da una televisione nazional-popolare. Uno spettatore
che chiede prodotti diversi da quelli che offrono le sale e l’elettrodomestico
di casa. Una audience raffinata ed esigente che si rifiuta di vedere le serie standardizzate dei canali generalisti e non si reca nella sala cinematografica a vedere il mortifero e piagnone "cinema d'autore". Chi
sarà in grado di intercettare le quote di spettatori che fuggono dai media
tradizionali? Naturalmente internet.
Usare tecnologie immersive e
interattive
Il cyber-spettatore compie una visione selettiva delle scene, comincia
e finisce la fruizione di una storia nei punti che sceglie e decide quale
puntata vedere di una serie. E’ chiamato a dare la sua opinione. Si costruisce
un percorso di lettura e si muove a suo piacimento all’interno di un iper-testo
aperto a modifiche. Altre volte viene coinvolto direttamente nella produzione
di senso del racconto. In una estetica ibrida, tra arte e
scienze, web-series come Lost in Google
e Days sollecitano la curiosità degli
utenti, offrono opzioni narrative integrabili, riflettono sulla loro natura
testuale e cercano di ribaltare il ruolo dello spettatore, affidandogli una
funzione di “creatore di storie”. Si prospetta così una forma di narrazione che
coinvolge gli utenti con una fruizione diversa. Non più quella passiva del
flusso televisivo e della visione di un film in una sala. Condivisione e
partecipazione sono le parole d’ordine. Gli autori di web entertainment applicano
tecniche eclettiche, plasmano i contenuti a seconda dei percorsi personali dei loro
fruitori e favoriscono l’interazione, esortando gli spettatori a commentare, a
suggerire soluzioni di racconto o lasciare un “like” su una bacheca virtuale.
Oggi un artista può attraversare i confini dei media riconosciuti. Può sfruttare internet come il segmento di una comunicazione
integrata e distribuita su diversi media. Coinvolgere tv, cinema, Dvd,
videogames, telefonia, radio ed editoria, come entità di un progetto comune. Può
far rivivere personaggi letterari o televisivi di successo su una web-serie. O
prendere il protagonista di una web fiction e ideare per lui una striscia
animata per l’app di un cellulare. Le opzioni sono infinite. In questo senso
una web-serie può essere intesa come il supporto di una vasta progettualità
narrativa. La crossmedialità è intrecciare televisione, internet e twitter, ad esempio, e collegarli
tra loro per una cross-platform che valorizzi il prodotto e amplifichi la risonanza
su più livelli.
Raccontare storie complesse
Da The Sopranos a The wire
fino a Six feet under, le creature
del canale via cavo americano HBO ci hanno abituato a costruzioni dense di
significato che superano i modelli ripartiti in tre atti e offrono possibilità
di variare e di inventare. Le produzioni di altri network sono state
influenzate da questa corsa all’originalità ed hanno contribuito ad elevare il
piccolo schermo a standard qualitativi mai visti prima. Desperate housewives, Lost
e Mad Men hanno fatto dire a Bernardo
Bertolucci che c’è più cinema nelle serie americane di quanto non ve ne sia nel
cinema europeo odierno.
Gli ha fatto eco il critico Aldo Grasso,
che ha scritto: Non c’è mai
stata una televisione tanto vitale, intelligente e ricca di risonanze
metaforiche e letterarie come l’attuale. Sembra quasi un paradosso ma spesso si
fa fatica a trovare un romanzo moderno o un film che sia più interessante di un
buon telefilm.
La migliore serialità catodica sembra
avere incorporato dentro di sé le dimensioni dell’epopea romanzesca e le istanze
della drammaturgia cinematografica. Gli episodi televisivi si offrono come parti
di un insieme più vasto e assumono la complessità dickensiana e il realismo del
romanzo vittoriano, sia la vocazione al grande spettacolo dei film
hollywoodiani[2].
La web-fiction, in quanto
continuazione e sviluppo di un discorso seriale adulto, raccoglie l’eredità dei
maestri della narrazione come Matthew Weiner, David Chase e Alan Ball e ha
l’arduo compito di proseguire la sperimentazione linguistica e tematica delle
narrazioni audiovisive del XXI secolo, proponendosi nel contempo come uno spazio
di ricerca indipendente.
Sulla rete come in televisione, serialità
non vuol dire solo ripetizione e standardizzazione, ma anche tecniche
sofisticate di un racconto “disteso”. Procedimenti formali che si evolvono da
modelli alti. Citazioni dalla grande letteratura, dal grande cinema e dal
grande teatro. Riflessioni mai banali sull’adolescenza, sulla crescita, su
desideri e bisogni umani, sul passaggio del tempo, sulla morte e sulla
frantumazione dei rapporti sociali. Perché la vita contemporanea è tutte queste
cose, è molteplice e irriducibile, e la lunga serialità può insegnarci molto su
quello che siamo come esseri umani e su quello che vorremmo essere.
[1]
G. Bartorelli, Art/Tube. L’arte alla
prova della creatività amatoriale, Cleup, Padova, 2010, p. 19
[2]
Gli studi sulla televisione hanno sempre rivolto l’attenzione sui presunti mali
della cultura popolare e sul meccanismo industriale della serialità. Teorici e
critici hanno enfatizzato l’impatto negativo del mezzo televisivo sulla società
moderna. Solo recentemente le discipline televisive sono entrate nelle
università e si è riscoperta l’originalità delle serie americane e inglesi con
un fiorire di interessanti saggi critici. Tuttavia permane l’atteggiamento
snobistico da parte di molti intellettuali ed un approccio di tipo apocalittico
che vede in tutti i prodotti della tv un supporto all’ideologia dominante.
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