Finalmente esce Gli invisibili. 2000-2010 Dieci
anni di cinema nascosto, una sorta di Morandini dei film italiani
e internazionali mai arrivati in sala.
Un corposo e vulcanico dizionario che,
come dice Zanello, è “un atto d’amore verso i generi cinematografici”.
In
anteprima abbiamo intervistato l’autore, Umberto Berlenghini.
Umberto Berlenghini (Todi, 1963),
un passato di autore per la tv, organizzatore di festival e retrospettive, lavora nel mondo del cinema e della televisione da più di venti
anni, ma è prima di tutto un cinefilo, un amante del cinema che si è calato nei
panni del detective e ha composto un'indagine acuta, curiosa e a tratti anche divertente.
1) Com’è nata l’idea
di parlare di alcuni oggetti invisibili, di pellicole mai distribuite, e ti è
stato difficile reperirle per la visione?
Come spesso capita certe idee ti arrivano per caso, o grazie
all’involontario e inconsapevole suggerimento di qualcuno. Sapevo di avere
questo tesoretto messo da parte negli ultimi dieci anni e mi sono chiesto se
poteva essere carino condividerlo con chi ama il cinema senza se e senza ma.
Non tutti i cinefili hanno la fortuna di lavorare nel mondo della settima arte:
essendo io uno dei privilegiati, ho voluto dare il mio modesto contributo per
farli partecipi di un’esperienza, cioè conoscere film difficilmente visibili a
tutti. Le schede che ho nel mio archivio sono molte di più delle 450 pubblicate
nel libro, ecco quindi la decisione di scegliere quelle dedicate ai titoli che
non hanno avuto uscita cinema e home video.
2) Le schede che hai
compilato dei film implicano un giudizio critico sul lungometraggio? E, a tal
proposito, pensi che la critica cinematografica sia stata troppo spesso volta
alla “pubblicizzazione e legittimazione dell’esistente”, come ha scritto una
volta un noto critico, e ancora oggi non faccia il suo dovere fino in fondo?
Le schede sono di varia lunghezza e sono composte da una trama e
dal successivo commento. Evito di usare il termine “giudizio critico” perché
non sono un critico, né un esperto (da sempre sostengo che “l’esperto” deve
conoscere e sapere tutto di tutto): sono semplicemente un appassionato. Nel mio
caso puoi usare il termine opinione. Fondamentale per il mio libro è leggersi
prima l’introduzione, che è anche una sorta di istruzioni per l’uso, saltare
poi direttamente alla postfazione di Fabio Zanello che chiarisce il senso di
questa operazione. Solo dopo puoi cominciare a leggere le schede, una ad una,
iniziando così un viaggio on the road o, meglio, on the book, in cui
divertimento e curiosità si alterneranno a irritazione e dissenso verso quello
che si legge. Sul lavoro della critica cinematografica non saprei cosa
rispondere. Come per tutte le altre materie trattate da giornali e riviste,
consiglio sempre di trovarsi uno o due critici di riferimento e leggere quante
più pubblicazioni specializzate possibili. E poi di corsa al cinema!
3) A tuo giudizio i
tanti film che non sono mai stati proiettati in una sala sono stati scartati
perché brutti, perché presentavano storie difficili dal punto di vista
commerciale, oppure perché troppo arditi e incompresi, o perché si sono
scontrati con logiche più ampie di distribuzione e sono stati respinti da un
mercato di difficile penetrazione e occupato strategicamente dai soliti noti?
Per chi ama il cinema, il mondo ideale dovrebbe essere zeppo di
sale cinematografiche aperte 24 su 24, 7
giorni su 7, dove vengono proiettati tutti i film che si producono nell’intero
pianeta. Tornando con i piedi a terra, quello che posso dirti è che le cause
che citi sono tutte reali. Il discorso sarebbe lungo e complicato. Chi decide
che un film è brutto? E perché impedirne la visione? Perché non distribuirlo
almeno in dvd? E che dire poi se il film è anche bello? Per il cinema, ma anche
per tante altre materie, occorre un lavoro a monte fatto prima in famiglia, poi
nelle scuole. Un lavoro che deve essere divulgazione di cultura e allenamento
verso il gusto del bello. Come disse quel comico “non so se mi sono capito”.
4) Qual è il film
“invisibile” che consiglieresti di vedere? Per caso c’è stata una tua scoperta,
una rivelazione inaspettata tra le tante pellicole visionate?
Andrei cauto con il termine rivelazione. Da sempre ameriKano, amo
il loro cinema, ma cercherò di accontentare un po’ tutti. “American gun”, che
segna l’addio alle scene del mio adorato James Coburn; il brasiliano “O xango
de Baker street”; lo svedese “Kim Novak badade aldrig I genesarets sjö”; il francese
“L’assaut”; l’olandese “Oorlogswinter”. Potrei andare avanti all’infinito,
menzionando la cinematografia tedesca, inglese, ma anche quella peruviana,
indiana. Doverosamente chiudo con il nostrano “La bella gente” di Ivano De
Matteo, anche perché la ragazza in copertina del libro è una delle protagoniste
del film.
5) Ai non addetti ai
lavori può sembrare strano che un produttore realizzi un film senza poter
contare su un impegno distributivo. Non è una strategia autolesionista? Perché
si verificano sempre più spesso taluni buchi oscuri della cinematografia e, in
certi casi, il profitto viene sempre a mancare per chi produce il film?
Messa così il non addetto ai lavori è autorizzato a pensare che se
il film non ha avuto quell’impegno, la causa potrebbe essere che quel film,
secondo il distributore, “ar cinema nun farebbe ‘na lira”. Se così fosse, non
esisterebbero i flop. Me la cavo con la solita retorica che ascoltiamo da
troppi anni: mancano i produttori di una volta, quelli che rischiavano di tasca
loro, quelli che non avevano troppi aiuti dallo Stato, quindi “costretti” a
produrre capolavori. Alcuni film italiani che mi è capitato di vedere, e di
questi ne trovi traccia nel libro, è stato un bene renderli invisibili. In caso
contrario, leggere nei titoli di testa e/o coda che hanno avuto sostegno dallo
Stato, avrebbe comportato una violenta rivolta, con annessa devastazione della
sala cinematografica da parte degli inferociti spettatori.
6) Ti è capitato
durante la stesura del libro di avvicinare qualcuno che ha lavorato ad un film
mai visto? Come si sente un regista, uno sceneggiatore o un attore a non vedere
rappresentata la propria opera?
No, o almeno non direttamente, tipo un faccia a faccia. Ricordo
una puntata di Hollywood Party dove il regista Ivano De Matteo tentava di
sensibilizzare chi di dovere per la distribuzione del suo “La bella gente”, e
io concordavo con la sua garbata protesta. Altre volte mi sono confrontato per
scritto con i registi, anche in questo caso garbatamente, pur avendo parere
opposto al loro.
7) Tra i film che non
sono usciti in sala ci sono pellicole di genere? I registi di queste opere
frequentano il fantastico, l’avventura, il giallo?
Accidenti se ci sono!! Inutile dire che la maggior parte arrivano
dagli Stati Uniti, alcuni sono film decorosi, altri meno. Quanto ai registi,
non sono molti quelli conosciuti dal grande pubblico e, forse, nemmeno dagli
addetti ai lavori. Discorso diametralmente opposto va fatto per gli attori. In
questi “miei invisibili” troverete artisti come Franco Nero, Max von Sydow,
Antonio Banderas, Daniel Auteuil, Colin Firth, Stefano Accorsi, Elio Germano,
Sophie Marceau, Monica Bellucci, Sylvester Stallone. E anche personaggi che col
mondo del cinema hanno poco a che fare come Paris Hilton, Vittorio Sgarbi, Ruud
Gullitt.
8) Oggi in Italia in
base a quali criteri viene distribuito un lungometraggio? Ci sono criteri
oggettivi o soggettivi? Chi decide e quali meccanismi operativi ci sono che
escludono o danneggiano la possibilità di vedere un film?
Ho esordito nel cinema lavorando proprio in una casa di
distribuzione, la prestigiosa Mikado Film. Con il suo logo, in quel momento
nelle sale c’era il primo capitolo di “Il decalogo” di Kieslowski. Quando me ne
andai era la volta di “The snapper”, di Stephen Frears, un film divertente concepito
per la tv, non certo il migliore del regista inglese. Oggi la Mikado non esiste
più. Ti piace come (non) ho eluso la domanda?
9) Nel corso degli
anni non sono mancate le accuse al cinema italiano di essere freddo e
cerebrale, poco vitalistico ed emotivo,
e qualcuno gli ha rimproverato di essere incapace di rischiare, irretito
dalla sindrome di Narciso che lo fa cadere nell’autismo. Secondo te in che
condizione è la nostra cinematografia oggi? Quali sono i suoi principali
difetti ascrivibili a film che faticano a raggiungere un pubblico
internazionale?
Come per la musica, anche per il cinema devo confessare la
mia esterofilia, o comunque il mio attaccamento verso il cinema italiano ma
solo quello di una volta, quello che ci ha reso famosi e rispettati in tutto il
mondo. La tua seconda domanda mi riaccende la delusione che mi ha dato l’ultimo
film di Bellocchio. Quando seppi che l’autore di “I pugni in tasca” avrebbe
diretto un film ispirato al caso Englaro, ero certo che sarebbe venuto fuori un
capolavoro e che a Venezia avrebbe vinto il Leone d’Oro. Poi ho cominciato a
sentire alcuni rumor da chi conosceva la sceneggiatura; successivamente ho
letto i resoconti che venivano dalla laguna; infine l’ho visto in sala, dopo la
sua “bocciatura” veneziana. Dopo la prima mezz’ora di visione, che mi faceva
ben sperare, successivamente non sono riuscito a dare torto a chi sosteneva che
Michael Mann aveva poche colpe del suo essere americano, quindi non in grado di
comprendere a fondo la “filosofia” che stava dietro al film di Bellocchio,
tanto che il primo premio è andato a Kim Ki-Duk. Il regista di Bobbio ha
soffocato con un’overdose di provincialismo (la realtà politico culturale
dell’Italia di allora) una storia universale quale poteva essere quella della
Englaro. Con il suo “Million dollar baby”, Eastwood ha raccontato una storia di
persone normali. E sappiamo poi come gli è andata con l’Academy Award.
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