Un ritratto freddo,
moralistico, noioso e provinciale di un’Italia infelice. Virzì dirige Il capitale umano con mano incerta e si
muove smarrito nei territori per lui inconsueti del noir. Un’occasione
sprecata, perché il gran romanzo di Stephen Amidon da
cui il film è tratto avrebbe fatto faville nelle mani di un Salvatores o di un
Tornatore.
Le ospitate televisive di Virzì, la gran cassa suonata da Gad Lerner e dai "critici amici” e l'aura di prodotto intellettuale aiutano un film "da salotto". Ma le polemiche sui
finanziamenti tacciono sul ruolo giocato da Rai Cinema. Ma alla
fine il capitale economico della Rai sarà ripagato?
Invece Rai Cinema, struttura materna e generosa, ha accolto Virzì come un figliol prodigo e gli ha offerto la possibilità di montare il film
con finanziamenti la cui entità ad oggi non si conosce. Bocche cucite su quanto
abbia stanziato viale Mazzini al regista livornese, mentre una polemica stantia
è nata in questi giorni per il contributo del Mibac di 700 mila euro e per i
650 mila euro di Eurimages forniti alla pellicola. Al di là dei toni acidi usati
dalle rispettive parti («Dopo 25 anni di cinema, mi ero illuso di meritarmi una
polemica seria», ha risposto Virzì a Libero. «Invece mi ritrovo con
una farsa di basso conio sbattuta su un orribile giornalaccio»), quello che più
colpisce in realtà è stata la celerità con cui Rai Cinema ha contribuito in maniera decisiva alla realizzazione del progetto - che era stato prima accettato e poi rifiutato dall'azienda concorrente.
Diremo subito che il film non ci è piaciuto affatto. Opera frammentaria,
prevedibile e di respiro provinciale, costruita sui luoghi comuni, Il capitale umano annoia e regala sbadigli. Nella prima ora di film non succede praticamente nulla e abbiamo solamente scene di presentazione. Verrebbe da chiedersi "ma il film, quello vero, quando comincia?". Il sipario della storia si apre tardivamente e nel mostrare i punti di vista dei vari personaggi svela aspetti inediti della stessa azione.
L'idea di Amidon, lo scrittore del Connecticut che ha fornito il canovaccio del racconto, è spiazzante e originale. Ma viene sprecata con una narrazione lenta, scarsamente empatica e distante, e manca la minima strategia per coinvolgere lo spettatore nel gioco dello spettacolo e in quello che vede. I personaggi risultano tutti raccapriccianti, meschini, privi di un barlume di vitalità, ma anche svenevoli oppure sopra le righe, tutti macchiette e caricature che non hanno tridimensionalità.
L'idea di Amidon, lo scrittore del Connecticut che ha fornito il canovaccio del racconto, è spiazzante e originale. Ma viene sprecata con una narrazione lenta, scarsamente empatica e distante, e manca la minima strategia per coinvolgere lo spettatore nel gioco dello spettacolo e in quello che vede. I personaggi risultano tutti raccapriccianti, meschini, privi di un barlume di vitalità, ma anche svenevoli oppure sopra le righe, tutti macchiette e caricature che non hanno tridimensionalità.
Virzì ha commesso un peccato capitale per un autore, quello cioè di non amare i suoi stessi personaggi. Il suo odio profondo per la borghesia italiana (di cui pure fa parte) e i sensi di colpa per la sua appartenenza al ceto medio, minano alla base i valori del testo filmico e la sua capacità di costruire un rapporto con il pubblico.
Il film trasuda uno spocchioso moralismo e, al contrario di The wolf of Wall Street di Scorsese,
altra pellicola che si sofferma sulla degenerazione del capitale, rinuncia a
farsi spettacolo ed a regalare emozioni, appiattendosi sui toni dell’apologo o,
peggio, della predica.
“Virzì finisce con il rimpicciolire la realtà, con il
costringere nel cliché un'Italia magari non raffinata ma viva. Scorsese, al
contrario, sceglie la grandiosità. […] Virzì giudica; in fondo gli fa piacere
fare la morale, dare un contenuto a suo modo politico e culturale all'opera.
Quindi deve generalizzare: le due famiglie al centro della narrazione diventano
archetipi di una provincia, di un modo di essere della parte del Paese che non
gli piace. È l'intellettuale impegnato: forse si sentirebbe moralmente
incompleto se non lo fosse. Scorsese invece descrive, è interessato ai
meccanismi della mente di Belfort e alle reazioni che i suoi eccessi provocano”. (citazione dal Corriere)
Nei ritratti al vetriolo di un immobiliarista fallito e di uno
speculatore senza scrupoli Virzì veste i panni del Savonarola e si dimentica
quelli dell’affabulatore, perdendo per strada tutte le occasioni per riscaldare
il racconto di genere, compresa quella – assai facile – di farci penare un pochino
per la classica vittima. Il morto ammazzato del thriller.
Appare comunque deludente la trasposizione filmica del romanzo statunitense nei punti in cui il copione se ne discosta. Il film abbandona senza farne menzione alcune sotto-storie importanti, come quella del rischio di perdita del fondo Bernasconi, e imputa lo scioglimento della vicenda alla banale lettura di una e-mail in un pc lasciato acceso. Coincidenza forzata e implausibile. Alla fine la sceneggiatura, pasticciata e assai poco brillante, costruisce una appendice che furbescamente regala un happy end alla storia - che nel bellissimo romanzo americano non aveva motivo di esistere.
Condivido in pieno la feroce stroncatura di una critica che, a scanso di equivoci, proviene dalla “sinistra” che sostiene il regista livornese: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/12/il-capitale-umano-un-film-imperfetto-che-non-fa-ne-ridere-ne-piangere/839690/
Appare comunque deludente la trasposizione filmica del romanzo statunitense nei punti in cui il copione se ne discosta. Il film abbandona senza farne menzione alcune sotto-storie importanti, come quella del rischio di perdita del fondo Bernasconi, e imputa lo scioglimento della vicenda alla banale lettura di una e-mail in un pc lasciato acceso. Coincidenza forzata e implausibile. Alla fine la sceneggiatura, pasticciata e assai poco brillante, costruisce una appendice che furbescamente regala un happy end alla storia - che nel bellissimo romanzo americano non aveva motivo di esistere.
Condivido in pieno la feroce stroncatura di una critica che, a scanso di equivoci, proviene dalla “sinistra” che sostiene il regista livornese: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/12/il-capitale-umano-un-film-imperfetto-che-non-fa-ne-ridere-ne-piangere/839690/
Detto per inciso, è un paese strano e pazzo quello in
cui le recensioni tendono a fare politica. Ma è strano e pazzo che Mamma Rai abbia adottato a gran velocità Virzì dopo la sua interruzione dei rapporti con Medusa.
Nonostante le lodi sperticate (e involontariamente
comiche) di Natalia Aspesi, Concita De Gregorio, Michele Serra e Gad Lerner, nonostante
l’intervista in ginocchio di Fazio e la finestra aperta sul telegiornale della
rete Rai, l’accoglienza in Italia per l'opera di Virzì non è stata da guinnes dei primati.
Il capitale umano ha incassato 1 milione
e 640 mila euro in questo primo weekend, mentre Un boss in salotto di Luca Miniero ha fatto 2 milioni e 110 mila ed
è arrivato a 9 milioni e 254 mila euro così come il montaggio di dieci cartoon
realizzato con Peppa Pig - Vacanze al
mare e altre storie ha incassato quasi quanto il film di Virzì.
Il capitale umano vanta un cast di tutto rispetto e un budget sostanzioso e si è avvantaggiato di una fortissima promozione commerciale e di recensioni celebrative e altisonanti. Ma suscita grande interesse soprattutto perché stuzzica gli appetiti di quella borghesia medio-alta, pseudo-intellettuale, in cerca di una promozione culturale, che vede nel prodotto di Virzì un'occasione di elevazione e di discussione salottiera.
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